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MARZO 2010

     

Una mattina di novembre

            Sto rientrando a casa dalla prima Messa domenicale. La città a quest’ora del mattino assapora gli ultimi bocconi della quiete notturna e in molte case aleggiano ancora dolci i sogni dell’aurora che, ammantata di sorriso all’orizzonte, promette una splendida giornata.

            Cammino lentamente gustando quest’aria limpida e carezzevole, che pare dipinta su un cielo che ascolta. E a me piace parlare ai miei passi quand’essi risuonano nel silenzio che calpesto. Mi piace pensare che essi ascoltino il mio andar – dicendo, sviscerando nostalgici ricordi o desideri nascosti nelle pieghe dell’anima. Di tanto in tanto mi soffermo, quasi a voler ascoltare voci che s’infilano soffi leggeri nell’aria cristallina, a sottolineare, interagire, raccogliere pensieri e farne gocce alate da trasportare lontano, in mondi di attesa. Questo mio dolce trasporto profuma di autunno inoltrato, manto caldo che avvolge la natura di colori e odori, nelle sue ultime giravolte prima che il sonno la avvolga di oblio.

             Così le foglie, in aeree danze policrome, pian pianino s’adagiano lievi sul seno materno; lo sguardo fuggente sul ramo già spoglio, il cuore racchiuso in perle di pioggia o veli di nebbia, la voce ormai fusa col vento a sognare fischiando un dolce ritorno. Sento rimbalzare i miei passi nel balbettio di pensieri vaganti che sprizzano emozioni incontrollabili, tra tenui crespature di cielo e il respiro caldo dell’addormentamento stagionale. Mi fermo un istante per meglio compenetrare nel fascino dell’ora e, a sorpresa mi accorgo di essere già sulla soglia di casa. E’ qui che ti trovo, composta con l’aria di bimba smarrita e un po’ imbronciata. Nel vedermi abbozzi un sorriso svolazzando con labbra di vento nella sinuosità della forma a definire la linea del cuore, con la vestina color primavera. Sollevandoti appena sussurri qualcosa che non afferro. Forse la tua storia.

            Ognuno di noi ha una storia. Una storia che portiamo addosso come un’altra pelle invisibile che respira con noi e ci definisce, in un certo qual modo, agli occhi del mondo. Storia bella o brutta, corta o lunga, scialba o brillante, comunque è la nostra storia, quella che spesso non si ha voglia di affidarla a orecchie distratte o a sguardi sfuggenti.

            Io ho voglia di immaginare che la tua sia fatta di giorni di giochi, con tante compagne, nel luccichio del sole o tra carezze di vento al ritmo del canto degli uccelli o fruscii di sguardi al tramonto tra nenie di grilli e pieghe di seta di ombre allettanti. Poi giunsero le frustate improvvise, il dolore, il distacco, la solitudine vagante tra nebbie soffocanti e grigiore di un cielo che piange. Così, nel tuo peregrinare tra sbuffi e malinconici volteggi, sei arrivata fin qui come una risposta a desideri nascosti. Con mani tremanti, colme di tenerezza, ti accolgo tra pagine d’amore, perché tu non conosca i morsi di gelo e ti conservi per “altre” primavere.

            Tu, figlio della luce, travolto nelle tempeste dei tempi in un buio d’abbandono, nella tua mano tesa racconti la tua storia scritta in fondo allo sguardo e nel respiro della tua pelle. Molti ti guardano, pochi ti vedono, troppi ti sfiorano con indifferenza, ignorando quella luminosità che ci rende fratelli sotto lo stesso Cielo.

            Tu randagio nella storia dell’uomo, assomigli tanto a questa foglia smeralda, trovata stamani sulla soglia di casa mia!

            Accoglierti, abbracciarti è un atto d’amore, non un dovere.

 

               

Indifferenza

            Da un giaciglio

            di strada infreddolito

            mozzi colpi di tosse

            s’alzano in cerca d’attenzione

            al risuonar di passi

            sempre più vicini.

            Frettolosi essi passarono

            strisciando quel

            mucchietto di stracci vagabondo.

 

            Così una volta ancora

            come tante prima

            solo il velo dell’indifferenza

            scese a coprire

            quell’ombra piccina.

                                               Elena Salvatore Ferrante

 

 

 

Caro Dominick   (19/ 02/06) 

 

            Se solo potessi mettere ordine alla folla di pensieri, emozioni che stamani mi stanno travolgendo!

            Non ho parole per dirti della rissa di sentimenti, ma mi piace pensare che la loro  potenza ti raggiunga incontaminata. Nel Vangelo di oggi, Gesù guarisce con la saliva sugli occhi la cecità di un uomo di fede. Gli ho chiesto anch’io per noi un po’ di quella saliva sui nostri occhi; sui tuoi, perché possano contemplare in eterno la luce del SUO VOLTO, sui nostri per donarci la luce della fede affinché ci guidi nelle nostre tortuosità verso il traguardo finale. Nella speranza che un giorno saremo ancora tutti insieme, teniamo alta la fiaccola della fede perché illumini di grazia questo dolore.  TI abbraccio amore mio. La mamma.  

 

 

Caro Dominick  (24/02/06)

 

            Ho da poco saputo che tua sorella ha superato l’esame di lingua cinese e sento forte il bisogno di dirtelo.

            So anche che, al di là del suo impegno di volontà e tenacia, tu hai giocato in tutto questo, un grande ruolo. Ti ringrazio perché continui adesso ancor più validamente, ad essere il nostro braccio destro, a infonderci forza e coraggio per poter andare avanti con dignità e fede. Tu oggi vivi nella luce del SIGNORE e puoi intercedere per noi. Certamente noi fragili creature che ti cerchiamo con i sensi della nostra dimensione umana, soffriamo molto la tua “assenza”, ma basterebbe spezzare le catene del dolore che annebbiano la mente per ritrovarti in quei valori che ci hai lasciato in eredità. Sono fiduciosa che tu ogni giorno seminerai in ognuno di noi, qualcosa di bello, che ci permetterà di avvicinarci sempre di più all’amplesso finale del ritrovamento nel Signore, nostra vita eterna.       Caro Dà, è impetuoso il pensiero stamane, ma la penna non riesce a metterlo giù in un ordine sensato. Mi scuso e ti lascio. Tornerò, sai che ne ho bisogno. Bacioni  la mamma. 

 

                  Presenze

 

D’un tratto un ronzio indefinibile

incalza e batte forte sulle tempie.

Sipario s’apre e azzurro luminoso

rischiara voci e presenze

vive scorrono sul filo del pensiero.

 

Su crocicchi di tempo

perle di sudore

raccolgono profumi e

altalene sospese

su lampi improvvisi

rivivono abissi e cime d’astri.

 

Pulsa ancora il cuore

racchiuso in una lacrima

e in preghiera, vive e spera.

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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