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GIUGNO 2012

     

SANTA FRANCESCA ROMANA

 

L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 26-27 maggio 2008

di SILVIA GUIDI

 
            FRANCESCA ROMANA«Francesca Romana è stata l'antesignana di Madre Teresa di Calcutta. Lo stesso vale per le sue oblate: al posto del sari bianco bordato di azzurro portano un velo bianco su un semplice vestito nero, ma il carisma è lo stesso» spiega Michelangelo Maria Tiribilli, abate di Monte Oliveto Maggiore, durante le solenni celebrazioni in Campidoglio del quarto centenario della canonizza-zione  dell'Advocata Urbis, come la chiamavano i suoi concittadini. Antesignana di Madre Teresa in tutti i sensi; non solo nella concretezza della carità e nella dedizione totale ai più deboli —  a chi sta per morire, a chi è appena nato o sta per nascere, alle donne, ai malati e ai poverissimi, a tutto ciò che viene considerato tempo sprecato dalla mentalità del mondo, allora come oggi ma anche nella difficoltà ad accettare le circostanze oggettive della sua vocazione. Moglie e madre suo malgrado — sognava il chiostro perché temeva che il matrimonio e gli affari domestici non le lasciassero tempo per Dio — e obbligata a svolgere il ruolo della perfetta padrona di casa in quanto consorte di un facoltoso mercante di bestiame al centro di un complesso mondo di clientes e rapporti sociali difficili da gestire. Ceccolella Bussa coniugata Ponziani si sente intrappolata in una vita non sua.

            Prima lotta, si ribella, rifiuta il formalismo vuoto e gli intrighi di potere dell'ambiente a cui si è legata con le nozze fortissimamente volute dai genitori Paolo Bussa de' Leoni e Iacobella de'
Roffredeschi, soffre fino ad ammalarsi gravemente, poi accetta e obbedisce al misterioso disegno
di Dio sulla sua vita. Abbandona la clausura domestica e sceglie di fare bene quello che gli altri la costringono a fare, aggrappandosi all'Eucarestia quotidiana come unico sostegno, certa che solo l'infinita bellezza di Dio basta e in Lui troverà la risposta ad ogni suo desiderio e a ogni sua angoscia.

            Il «sì» è sofferto ma totale; Francesca accetta di vivere non nel modo che aveva sognato da
bambina, ma affrontando quello che la realtà le mette davanti tutti i giorni, dalle circostanze
più banali come curare gli affari della sua casa-azienda, ricevere le amiche o gli influenti alleati
del marito, alle situazioni più drammatiche e laceranti, come assistere i due figli malati di peste
nell'agonia e accompagnarli all'incontro definitivo con l'Eterno, sbrigare le penose formalità per
la loro sepoltura, aiutare altre madri, mogli, figlie a vivere lo stesso terribile, incomprensibile
dolore davanti al volto delle persone care sfigurato dalla malattia. Francesca si fida di Dio; con Lui negli occhi e nel cuore non esistono più circostanze importanti e trascurabili, non c'è più bisogno di censurare niente, tutto diventa occasione preziosa per sperimentare il mistero dell'Incarnazione. Nel tempo la giovane nobildonna insofferente, la ragazzina indomabile che rifiuta il matrimonio combinato imposto dai genitori diventa la intus pacifica Francisca di cui parlano i biografi, che trasforma tutti i passaggi obbligati, le fatiche e le angustie della sua vita in un'occasione di carità per se stessa e per gli altri. Dopo una lunga eclissi nelle canonizzazioni, dovuta alle controversie con i protestanti, Francesca è la prima santa italiana.

            La ricchezza non è più sentita come un ostacolo all'imitazione della povertà evangelica ma
diventa un'opportunità per rispondere concretamente al bisogno dei fratelli uomini umiliati dalla fame, abbrutiti dalla miseria e stremati dalle scorrerie delle truppe del re di Napoli Ladislao d'Angiò Durazzo, che cerca di esercitare il proprio controllo sulla città approfittando della debolezza del potere pontificio. Nel 1378 la duplice elezione di Urbano VI e dell'antipapa Clemente VII aveva aperto il grande scisma; per quarant’anni due o anche tre papi si contenderanno il soglio di Pietro.

            La ferita istituzionale al supremo vertice della cristianità avrà conseguenze religiose — ma anche politiche — devastanti per l'Occidente e per Roma, che ne è il centro simbolico. I Ponziani
pagano un prezzo molto alto per la loro fedeltà alla Chiesa e agli Orsini contro il re Ladislao e i
Colonna: Lorenzo, il marito di Francesca, viene ferito tanto gravemente da restare infermo per
tutta la vita, il cognato Paluzzo esiliato, il figlio Battista, ancora fanciullo, preso in ostaggio. La
totale disponibilità di Francesca ad accettare la volontà di Dio in ogni situazione, anche la più
drammatica e dolorosa, e a non tirarsi indietro di fronte agli aspetti più duri e crudi della vita, nel
tempo la porta a dilatare il suo raggio di azione da casa Ponziani al quartiere di Trastevere, fino a
raggiungere i sobborghi più lontani della sua città. Ogni giorno percorre le favelas dell'epoca
con un carretto per venire incontro a chi non ha più neanche la forza di chiedere aiuto, entra nelle catapecchie più miserabili per curare e consolare, portando medicinali e speranza a domicilio, accompagnata da un gruppo di amiche che, come lei, preferiscono investire soldi e tempo in carità piuttosto che in feste, gioielli e stoffe preziose. Durante i lunghi periodi di carestia Francesca e la cognata Vannozza distribuiscono gratuitamente vino e cereali a chiunque bussi alla loro porta, nonostante il disappunto dei parenti, certe dell'aiuto del Padrone del mondo. Aiuto che non verrà mai meno: quando gli altri componenti della famiglia vanno a controllare le provviste per rimproverarle dell'eccessiva generosità verso i poveri, le botti sono sempre miracolosamente piene e i magazzini ricolmi di sacchi di frumento. Francesca è la santa dell'attenzione, nella cura del marito, dei figli, degli amici e di quella famiglia allargata che nel tempo diventa tutta la città di Roma; la virtù eroica
dei santi in lei si esercita nell'accudimento e nella tenace e lieta fedeltà ai piccoli gesti del
quotidiano. Non a caso è famosa per la sua attività maieutica; aiutare una donna a partorire
implica attenzione, pazienza, significa essere disposti a non lasciare mai sola la puerpera durante
il travaglio, giorno e notte, rassicurarla anche se ci sono complicazioni, farla sentire amata e
protetta. Francesca c’è sempre quando serve, indifferente alla stanchezza, pronta a farsi carico
del dolore e della paura di chi ha davanti per sciogliere anche le situazioni più difficili.
Non è una conquista immediata, ma il frutto di un lavoro su di sé, di un'ascesi costante.
All'inizio della sua vita matrimoniale cerca di rifugiarsi nelle stanze più solitarie del grande
palazzo dei Ponziani per dare continuità, tempo e spazio al suo dialogo con Dio, poi con il
passare degli anni capisce che la cella non dev’essere necessariamente uno spazio fisico
recintato, ma può essere all'interno del suo cuore — come rispondeva santa Caterina a chi la accusava di trascurare la contemplazione e di lasciarsi distrarre dai troppi viaggi resi necessari
dalla sua intensa attività politica.

            Anche Francesca diventa profetessa, senza averlo cercato o desiderato, per obbedienza, come
sempre in tutti i passi più importanti della sua vita. Profetessa di fatto e quasi suo malgrado,
come Caterina e santa Brigida prima di lei, perché vive in un'epoca di divisioni, guerre di potere
e faide violentissime, un periodo storico confuso e lacerato in cui il popolo cristiano ha bisogno
di figure di riferimento a cui guardare. Francesca ricuce le ferite — morali e materiali — della
sua gente, tesse alleanze e getta acqua sul fuoco delle rappresaglie; il suo incessante lavoro
terapeutico su anime e corpi la porta a diventare medico ed erborista anche stavolta quasi suo
malgrado, per nascondere le sue virtù taumaturgiche soprannaturali dietro fasciature, impiastri e
decotti di piante officinali. Fa di tutto per non far notizia, cerca di evitare che la gente si accorga
della «strana» forza che esce dalle sue mani, ma la fama della sua santità si diffonde sempre
più. Anche perché sempre più spesso viene visitata da estasi, visioni, esperienze mistiche che la
lasciano come morta per ore dopo essersi accostata all'Eucarestia. Non ha paura, perché sa di
non essere sola: sente accanto a sé la presenza costante dell'angelo custode, ma deve anche
affrontare duri combattimenti con l'angelo caduto, che la lasciano stremata. La violenza con cui sente nel suo corpo le ferite della Passione di Cristo lascia sbigottite anche le compagne che la seguono ogni giorno nelle «ronde della carità» nei sobborghi più sperduti di Roma.

            «Credere in Dio è facile, diverso – e più raro — è fare esperienza di Dio» spiega Claudio
Leonardi, uno dei maggiori esperti italiani di letteratura e spiritualità medievale, invitato a parlare
della santità di Francesca nella città dove ha vissuto per vent'anni. «Il mistico lo sperimenta, e cerca di raccontare cosa prova. Ma le parole sono incapaci di rendere il mistero della fusione con il divino, solo le immagini riescono a rendere qualcosa della ricchezza delle percezioni. Il santo prova una gioia intensissima, una felicità impossibile da immaginare da chi lo guarda vivere nel mondo "normale", ma anche dolori e desolazioni, solitudini terribili. Il dono della profezia e l'aspetto più politico del carisma ricevuto è l'altra faccia di una stessa medaglia; è l'intensità della vita interiore che porta ad operare nella storia». Francesca frequenta i benedettini olivetani, e chiede a loro consigli morali e materiali su come dare una casa alle sue colleghe di vocazione, che nel tempo sono diventate sempre più numerose e sempre più certe nel loro proposito di dedicare tutta la loro vita a Cristo. La premura per le sue sorelle, e non un progetto astratto pensato a tavolino, la porterà a fondare nel cuore della città, a Tor de' Specchi, una comunità di Oblate che vivono la vocazione alla verginità nel mondo, dedicandosi a opere di carità e assistenza, ma con un'autonomia e una flessibilità sconosciute alle antiche fondazioni claustrali. Il lavoro di tessitura politica, religiosa, morale e materiale dì Francesca continua anche — e soprattutto, come succede sempre ai santi — post mortem: il 29 maggio 1608 il Papa romano Paolo V Borghese eleva all'onore degli altari Ceccolella dei Ponziani. La cerimonia in San Pietro, solenne e magnifica, vuole sottolineare l'importanza storica che si attribuisce all'evento. Dopo un lungo periodo di silenzio nelle canonizzazioni, dovuto alle controversie con i protestanti, Francesca è la prima santa italiana, la prima donna dal tempo di Caterina da Siena nel 1461, e in assoluto anche la prima personalità romana a entrare nella storia della santità canonizzata, da cui paradossalmente sino ad allora era rimasta esclusa proprio la città del Papa. E la prova che intorno al Vicario di Cristo la multiforme creatività dello Spirito Santo non ha mai cessato di diffondere fede, speranza e carità, neanche nei periodi storici più bui. «Proprio in questi anni, per ribaltare il tòpos diffuso dalla propaganda protestante di Roma-Babilonia, fonte di corruzione, nasce l'immagine fortissima e quasi respingente della Pietà romana, raffigurata come una giovane bellissima donna che allatta un vecchio sporco e malato» spiega Lucetta Scaraffia, docente di storia contemporanea all'università La Sapienza illustrando le profonde ragioni simboliche e politiche dell'iconografia barocca. Quattrocento anni dopo Roma torna a celebrare Ceccolella, Intus pacifica ( . . . ] sed extra leo ferocissimus — così la descrive Ianni Mattiotti, prete di Trastevere suo confessore nell'ultima parte della vita — dolcissima con i suoi alati, implacabile nello smascherare la menzogna. Amata, ma non conosciuta come un tempo.
            «Lamentarsi mai; agire sempre»: così il cardinale decano Angelo Sodano ha sintetizzato l'opera delle Oblate di santa Francesca nei difficili anni del primo Quattrocento romano, a conclusione della giornata di celebrazioni in onore della santa di Trastevere organizzata da suor Maria Camilla Rea, madre residente di Tor de' Specchi. «Ho chiesto ospitalità al nuovo sindaco a poche ore dalla sua elezione» ha rivelato suor Maria durante i ringraziamenti di rito. «Temevo di dover aspettare mesi; invece mi ha telefonato dopo tre ore, dicendomi che era ben lieto di mettere a disposizione una sala del Campidoglio per festeggiare la santa più amata dai romani». Amata, ma non conosciuta come un tempo; il filmato dedicato a Tor de' Specchi realizzato da Alessandro Chiodo e proiettato dopo la conferenza si prefigge lo scopo di avvicinare la Francesca storica, vissuta a Trastevere ai romani di oggi e far capire le radici profonde e drammatiche della sua santità. Nel video parlano anche le figlie spirituali di Francesca, che gestiscono una casa di accoglienza per giovani universitarie e custodiscono lo splendido ciclo di affreschi di Tor de' Specchi. Pur di garantire la sua manutenzione alcune oblate hanno imparato le tecniche di restauro, si sono rimboccate le maniche e hanno portato a termine i lavori più lunghi e costosi, per i quali era più difficile trovare uno sponsor. Secondo una delle novizie la carità del suo monastero uno dei tanti “effetti collaterali” del mistero della croce e dell’inesauribile fecondità dei martiri; una “febbre di vita” che si declina in mille modi. Il santo “marchia” anche fisicamente il luogo dove è vissuto; è successo anche a Ceccolella, venerata anche in Campidoglio. “Perfino sulle campane della torre del palazzo senatorio” spiega suor Maria Camilla Rea, madre Presidente di Tor de’ Specchi, introducendo l’inno per coro e voce solista (interpretato da Denia Mazzola Gavazzeni) dedicato a Santa Francesca da monsignor Marco Frisina “c’è l’effige della santa più amata dai romani”.

 


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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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