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FEBBRAIO 2002

     

 

LA BENEVOLENZA

Senso etimologico della parola

            La parola “benevolenza” è un nome astratto. I nomi astratti sono la sostantivizzazione di realtà non percepibili dai sensi. Di solito sono qualità dell’anima. La persona può essere gentile, la gentilezza è il nome astratto relativo, può essere paziente ed ecco la pazienza, può volere il bene, cioè essere una di quelle persone di volontà buona, che vogliono il bene, quelle cioè a cui gli angeli dell’incarnazione hanno promesso la pace; ed ecco la “benevolenza”.

            La persona benevola vuole il bene per sé e per gli altri. Si può obiettare che tutti vogliamo il bene, ma è anche vero che noi creature non abbiamo la luce necessaria per riconoscere il “bene”, il vero bene per noi e per gli altri, pensiamo ed agiamo in funzione di questa vita soltanto e facciamo coincidere il bene con la salute, la lunga vita, la mancanza di difficoltà e di problemi... se ci riteniamo cristiani desideriamo anche il bene morale e spirituale per noi e per i nostri cari ma spesso questo bene è visto in funzione della nostra serenità, infatti può avvenire che, nell’atto di fare delle scelte, se questo “bene morale” si presenta come un disturbo alla nostra vita, siamo disposti anche a fare scelte contrarie. Se questo avviene è evidente che la ricerca del bene, costi quel che costi, non ci appartiene, perché non siamo disposti a pagarne il prezzo che è il nostro incomodo (Es. Un figlio imprevisto, la rinuncia ad un puntiglio in fatto di eredità per favorire la pace familiare, la capacità di dare e ricevere il perdono, ecc.)

            La benevolenza perciò ha bisogno innanzitutto di luce soprannaturale e di una gerarchia di valori evangelici.

 

Differenza tra atto e virtù di benevolenza

            Si deve distinguere l’atto di benevolenza dalla virtù della benevolenza. Atti di benevolenza tutte le persone hanno occasione di farne e nell’arco della vita tutti forse ne fanno. Gli atti indicano una discontinuità, tra un atto benevolo e l’altro possono esservi tanti atti malevoli dettati dall’orgoglio ferito che non sa perdonare e che cede alla vendetta, all’invidia, al rancore, all’offesa, vi possono essere atti tesi a danneggiare la persona che ci ha offeso o comunque il possibile “nemico”. Gli atti di benevolenza, inoltre, possono essere fatti in favore di persone che condividono i nostri sentimenti anche non buoni, che assecondano le nostre passioni, che ci aiutano in discesa, per cui sono sempre atti di egoismo perché tendono al nostro compiacimento. Sono cioè atti sporadici e unilaterali. Non si può parlare davvero di virtù.

            La virtù, al contrario, è un atteggiamento abituale della persona, è come un suo vestito, (abitudine viene proprio da abito, l’abito si indossa sempre) la connota, è un tratto della sua identità. In quanto tale non è mirato, non è selettivo delle persone, è un comportamento che assume verso tutti, non sa agire diversamente.

Forse tutti abbiamo delle virtù delle quali non ci accorgiamo perché ci sono connaturali. L’esercizio di queste virtù non è faticoso perché asseconda la natura. Spesso si tratta di qualità che abbiamo ereditato dal nostro albero genealogico, dal nostro habitat familiare, le abbiamo respirate con l’aria di casa e perciò ce ne siamo impregnati automaticamente; ma ci sono anche qualità che non abbiamo ereditato ma delle quali, crescendo, impariamo ad apprezzare la bellezza e l’utilità. Pur non possedendole nel nostro patrimonio personale, possiamo però acquistarle con l’esercizio costante, con la ripetizione appunto degli atti relativi alle stesse, fino a quando ci diventano abituali e non ci causa più fatica l’esercitarle.

Ascoltiamo in proposito l’esortazione di S. Paolo: “Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell'ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore. Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile.

Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, per la quale dovete deporre l'uomo vecchio con la condotta di prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri. Nell'ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità. Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione.

Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. (Ef 4,17-32)

 

Itinerario per l’acquisto della benevolenza

La benevolenza, come tutte le virtù, per diventare un abito ha bisogno di esercizio costante, di allenamento specializzato.

Lo “Specialista” di questa disciplina spirituale è senza dubbio Dio stesso. Lui vuole il bene e lo vuole per tutti. Lui è disposto a fare tutto, anche a dare se stesso per procurare il bene alle Sue creature, l’ha fatto in effetti, in Gesù. Lui è capace di procurarci il bene senza presentarci il conto. La Sua benevolenza nei nostri riguardi è la ragione ultima della nostra speranza.

Lo “Specialista” di questa disciplina diventa un modello da imitare, come l’istruttore di una disciplina sportiva diventa modello speculare dell’allievo.

Per apprendere la benevolenza bisogna esercitarsi nel fare atti di benevolenza. Gli atti iniziano dal pensiero.

  1. Il primo esercizio da fare è quello di pensare bene degli altri, amarli, ritenerli un dono che il Signore ci ha fatto, nonostante i limiti personali che questo dono può presentare. Questi pensieri positivi e benevoli, lanceranno, anche a nostra insaputa, messaggi positivi verso l’interessato e verso gli altri, anche verso Dio, cioè sono già in se stessi preghiera.
  2. Il secondo esercizio è quello di cercare di capire di quale atto d’amore ha bisogno la persona in questione, per il suo bene non per il nostro bene. In questo ci può essere di aiuto la conoscenza della situazione che vive, la comprensione del fine a cui è chiamato (es. se è nostro marito, nostra moglie, cercare di intuire cosa favorirebbe l’armonia coniugale e quindi la sua serenità; se è nostro figlio, cosa favorirebbe la sua crescita equilibrata, cosa favorirebbe la sua confidenza nei nostri riguardi e nei riguardi della vita; se si tratta di situazioni più immediate, es. nostro figlio ha fame, cosa potrebbe soddisfare questo suo bisogno fisico e legittimo, ecc...).
  3. Dopo aver capito l’esigenza dell’altro, è bene passare all’attuazione senza rimandare, per non lasciare l’altro nella sofferenza. La sola compassione non basta, bisogna passare all’azione, senza lasciarsi condizionare dalla pigrizia o da considerazioni personali.
  4. Esercitarsi in questo senso senza selezionare le persone e senza permettersi periodi di ozio.

A questo scopo ci sarà molto utile ricorrere all’azione dello Spirito che ci assiste con la “grazia attuale”, cioè ci dà l’aiuto costante per tradurre in vita il vangelo, nel quotidiano. Solo Lui sarà capace di creare legami d’amore con ogni uomo, che sono alla base della “fraternità universale” che ci deriva dall’essere tutti figli dello stesso Padre e fratelli tra noi. Solo Lui ci farà attingere la capacità di amare alla fonte inesauribile dei meriti di Gesù. Solo Lui ci rivelerà l’amore misericordioso del Padre e ci aiuterà a fare nostri i sentimenti della Trinità Santa.

Da parte nostra si richiede sempre quella piccola ma indispensabile cosa che è la buona volontà. Il Signore ci chiede veramente poco per fare in noi grandi cose, eppure siamo avari anche in questo poco. Forse la tristezza più grande di Dio è proprio vederci così indifferenti ai Suoi doni: Lui vorrebbe fare di noi delle creature meravigliose e noi, per i nostri calcoli meschini, ci ostiniamo a voler rimanere nella mediocrità. E’ proprio necessario liberare lo Spirito, prigioniero del nostro egoismo.

 

La benevolenza come dono dello Spirito

            Quando la benevolenza diventa dono dello Spirito? Quando con buona volontà ci siamo esercitati a sufficienza, pur senza riuscire. E’ un po’ l’esperienza degli apostoli che remavano affannosamente col mare contro e Gesù si fa loro incontro, entra nella loro barca e il mare si placa. Gesù è sempre all’orizzonte della nostra vita a spiare le nostre fatiche, pronto ad intervenire se ci vede in difficoltà, discreto sempre, per rispetto della nostra libertà. “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. (Ap 3,20)

Noi vorremmo tutto da Dio, senza prenderci l’incomodo di fare un atto libero di volontà, e spesso giudichiamo Dio stesso come ingiusto nei nostri riguardi, ma Dio che è la Benevolenza, non può, per natura essere indifferente a noi, non è condizionato dall’egoismo, i Suoi pensieri non sono i nostri pensieri, perciò non ci è lecito attribuire a Lui pensieri che sono solo nostri. Se Lui non interviene nella nostra vita è perché vuole che le nostre stesse qualità spirituali, abbiano valore di fronte al Padre, a cui ci vuole presentare, al termine della nostra vita, come sposa adorna per il suo sposo. Gli ornamenti dell’anima sono appunto le virtù. Gli interventi di Dio nella nostra vita non costituiscono merito per noi perché sono doni gratuiti del Suo amore. Ciò che invece costituisce merito per noi è l’impegno che mettiamo per progredire nel bene. 

            Parole sagge sono scritte a questo riguardo nella Bibbia. Le leggiamo nei “Proverbi” attribuiti a Salomone, che chiese a Dio il dono della Sapienza. Esse  tracciano l'identikit dell’uomo benevolo e quello del  malvagio, del sapiente e dello stolto. L’uomo sapiente è un virtuoso, lo stolto un vizioso:

            La sapienza di una massaia costruisce la casa, la stoltezza la demolisce con le mani.

Chi procede con rettitudine teme il Signore, chi si scosta dalle sue vie lo disprezza.

Nella bocca dello stolto c'è il germoglio della superbia,

ma le labbra dei saggi sono la loro salvaguardia.

Senza buoi, niente grano, l'abbondanza del raccolto sta nel vigore del toro.

Il testimone vero non mentisce, quello falso spira menzogne.

Il beffardo ricerca la sapienza ma invano, la scienza è cosa facile per il prudente.

Allontànati dall'uomo stolto, e non ignorerai le labbra sapienti.

La sapienza dell'accorto sta nel capire la sua via, ma la stoltezza degli sciocchi è inganno.

Fra gli stolti risiede la colpa, fra gli uomini retti la benevolenza.

Il cuore conosce la propria amarezza e alla sua gioia non partecipa l'estraneo.

La casa degli empi rovinerà, ma la tenda degli uomini retti avrà successo.

C'è una via che sembra diritta a qualcuno, ma sbocca in sentieri di morte.

Anche fra il riso il cuore prova dolore e la gioia può finire in pena.

Chi è instabile si sazierà dei frutti della sua condotta,

l'uomo dabbene si sazierà delle sue opere.

L'ingenuo crede quanto gli dici, l'accorto controlla i propri passi.

Il saggio teme e sta lontano dal male, lo stolto è insolente e presuntuoso.

L'iracondo commette sciocchezze, il riflessivo sopporta.

Gli inesperti erediteranno la stoltezza, i prudenti si coroneranno di scienza.

I malvagi si inchinano davanti ai buoni, gli empi davanti alle porte del giusto.

Il povero è odioso anche al suo amico, numerosi sono gli amici del ricco.

Chi disprezza il prossimo pecca, beato chi ha pietà degli umili.

Non errano forse quelli che compiono il male?

Benevolenza e favore per quanti compiono il bene.

In ogni fatica c'è un vantaggio, ma la loquacità produce solo miseria.

Corona dei saggi è la loro accortezza, corona degli stolti la loro stoltezza.

Salvatore di vite è un testimone vero; chi spaccia menzogne è un impostore.

Nel timore del Signore è la fiducia del forte; per i suoi figli egli sarà un rifugio.

Il timore del Signore è fonte di vita, per evitare i lacci della morte.

Un popolo numeroso è la gloria del re; la scarsità di gente è la rovina del principe.

Il paziente ha grande prudenza, l'iracondo mostra stoltezza.

Un cuore tranquillo è la vita di tutto il corpo, l'invidia è la carie delle ossa.

Chi opprime il povero offende il suo creatore, chi ha pietà del misero lo onora.

Dalla propria malvagità è travolto l'empio, il giusto ha un rifugio nella propria integrità.

In un cuore assennato risiede la sapienza, ma in seno agli stolti può scoprirsi?

La giustizia fa onore a una nazione, ma il peccato segna il declino dei popoli.

Il favore del re è per il ministro intelligente, il suo sdegno è per chi lo disonora. (Pr 14,1-35)

 

Ci sarà utile riflettere su questo quadro tracciato dalla Sapienza, per vedere quanti punti di sapienza totalizziamo e quanti di stoltezza dobbiamo togliere da noi con l’impegno costante, sostenuto dalla buona volontà.

            La benevolenza è gentilezza d’animo, possiamo farla nostra man mano che il nostro cuore si addolcisce nel contatto con Dio. Il mondo è come terra incolta, dove proliferano erbacce di ogni genere, alcune nocive, altre ingombranti, tutte dannose per il buon seme o perché ne succhiano i sali necessari alla sua crescita o perché impediscono alla pianta di vedere il sole. Gesù parla del suo campo dove ha seminato buon seme ma ha visto crescere la zizzania e dice appunto: “Il campo è il mondo” (Mt 13,36-43)

            L’erba cattiva, i cattivi consigli, i cattivi esempi, inaspriscono gli animi. Rendono le persone preoccupate, irascibili, sgarbate, tolgono il sorriso dal cuore e dalle labbra, alimentano prevenzioni, sospetti, difese; ostacolano la gentilezza dei modi, di parole, di gesti. Che gran nemico il diavolo! Che nemico insidioso! Che nemico instancabile! E quanti alleati trova nel mondo, che lo assecondano in pieno, scagliandosi contro i servi del Signore!

            Come evitare di lasciarsi rovinare il cuore?

            Non c’è che la vigilanza, la preghiera, l’umile confessione dei propri peccati, il chiedere scusa se abbiamo mancato di carità verso i fratelli e meditare, meditare, meditare sulla fugacità delle cose terrene, sulla vanità del giudizio umano e soprattutto nutrirsi di Eucaristia, Pane degli Angeli, capace di renderci un po’ angeli a nostra volta.

 

Guardando nel nostro cuore:

    • Guardando nel mio cuore, vi scopro ancora tratti che appartengono “all’uomo vecchio” di cui parla S. Paolo? (Invidia, asprezza, sdegno, ira, clamore  e maldicenza...)
    • Quali tratti “dell’uomo nuovo” penso di possedere? (benevolenza, misericordia, capacità di perdono, generosità, disponibilità all’ascolto e al servizio, altruismo in genere....)
    • Possiedo la benevolenza come virtù o mi capita di esercitarla solo sporadicamente?
    • Leggendo il brano tratto dai “Proverbi”, che traccia l’identikit dell’uomo sapiente e dello stolto, attribuisciti un punto positivo per ogni tratto di sapienza che pensi di possedere e uno negativo per ogni tratto di stoltezza. Impegnati ad eliminare con l’esercizio costante questi ultimi e a far crescere quelli positivi.
    • Vigila sul tuo cuore, perché il nemico, il diavolo, non vi semini la zizzania.
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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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