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APRILE 2010

     

LA COLLABORAZIONE NELLA FAMIGLIA UMANA

 

            La famiglia può dirsi tale se il vincolo che unisce le persone è saldo, se fra loro circola il dialogo, se c’è condivisione di intenti, se ci si sente coinvolti gli uni nella situazione degli altri.

            La famiglia toglie l’individuo dalla solitudine, che è la peggiore delle povertà.

            La solitudine nasce quando gli individui si allontanano da Dio o quando, per sfiducia reciproca, si rinchiudono in se stessi. La solitudine può essere forzata, per mancanza di persone di riferimento (vedi situazione di molti anziani) e può essere una scelta da parte di persone che non si fidano del prossimo. Queste ultime creano intorno a sé un cerchio così stretto che non fa passare nessuno, a volte neanche i propri cari, o se le fa passare le chiude nel suo cerchio. Persone o famiglie chiuse in se stesse pensano di bastare a se stesse, semmai usano gli altri solo per il proprio tornaconto. E’ triste questa situazione, ma purtroppo è ricorrente, la troviamo incarnata spesso nelle persone che ci circondano.

            Spesso chi vive nelle grandi città si sente isolato, non sa a chi ricorrere nelle necessità, non sa a chi chiedere un consiglio, non trova chi può sostituirlo negli imprevisti… Ma anche in città a volte basta fare il primo passo verso i vicini e le relazioni possono crearsi e buone.

            Una buona opportunità per stabilire relazioni positive si può avere se ci si reca nei luoghi di aggregazione del popolo di Dio. In questi ambienti non si trova il modo di risolvere tutti i propri problemi, ma più che altrove si possono incontrare persone ben disposte nei riguardi del prossimo e che si possono far carico del problema di un fratello.

            Questo è possibile perché Gesù ha inteso creare una famiglia, quando ha fondato la Chiesa, proprio per stabilire tra i suoi figli un vincolo di solidarietà e di amore. E’ però una possibilità, non una certezza, perché anche i cristiani sono persone fragili e difettose, che non sempre sanno rispondere alle esigenze della carità.

            Il Papa, nella sua enciclica, intende addirittura estendere a tutta la famiglia umana questi principi evangelici, che sicuramente, se messi in atto sarebbero capaci di creare un mondo veramente sereno. Dobbiamo sperare e pregare perché il Papa sia ascoltato con attenzione dai politici e che prendano iniziative di solidarietà cristiana, ma intanto noi, all’interno delle nostre famiglie, dobbiamo cercare di dare ragione della nostra fede e della nostra adesione alla Parola di Dio, vivendo la fraternità, nel nome del Padre che ci ha creati e di Gesù, autore della grazia che ci ha rigenerati.

 

FAMIGLIA DIVENTA CIO’ CHE SEI

            Paolo VI nella Populorum Progressio scrisse: “Il mondo soffre per mancanza di pensiero”. E’ una frase giusta, alla quale l’attuale pontefice cerca di dare risposta con le sue encicliche, che intendono riassettare il pensiero umano entro gli argini di una logica sana. La stessa frase però può adattarsi anche alla situazione familiare: “La famiglia soffre per mancanza di pensiero”. “Famiglia, diventa ciò che sei” disse Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio; diventa ciò che sei: ma come si può diventare ciò che già si è? Che richiamo è mai questo?

            Di fatto la famiglia ha perso la sua identità, perché si è allontanata dall’idea di chi l’ha fondata; per ritrovare se stessa, ha bisogno di reimmergersi nel pensiero creatore di Dio Padre e di vivere coscientemente il sacramento, che Gesù le ha dato per redimerla.

            Il pensiero creatore era quello di dar vita ad una realtà, che trovasse nella sua stessa essenza l’immagine e il modello: “Fece l’uomo a sua immagine e somiglianza”, due creature speculari, complementari, legate in unità dal vincolo spirituale dell’amore: Gesù Redentore, chiamato dal Padre a restaurare ogni cosa distrutta dal peccato, ha consolidato il legame d’amore con la forza viva dell’Amore Misericordioso, necessario per restaurare il legame sfilacciato dal peccato di egoismo e dallo spirito di divisione.

            La famiglia diventerà quello che è quando avrà recuperato queste caratteristiche della sua identità.

            L’unico collante all’interno delle famiglie e tra i popoli della terra è Dio. Solo Lui ci può unire in una grande famiglia dove circola l’amore, dove ogni membro si prende cura degli altri membri, che gode del bene raggiunto da ognuno di loro, che procura con tutte le sue forze di promuovere le altre membra svantaggiate.

            Solo così si cresce, si progredisce, ci si realizza secondo la propria identità originaria, si va verso il compimento del progetto di Dio e della propria felicità.

 

REGIMI TOTALITARI E FAMIGLIA

            I regimi totalitari paralizzano e annientano le persone per poterle usare a proprio vantaggio. In questi regimi vigeva e vige lo “status quo”, cioè tutto doveva o deve restare imbalsamato nella situazione voluta dal sovrano, c’è solo un ricambio generazionale, garantito dalla successione da padre a figlio. In questa legislazione è chiara la preoccupazione di lasciare tranquillo il sovrano, ma non c’è attenzione alla persona, che potrebbe promuovere se stessa e la propria famiglia, uscendo da una situazione di sudditanza con l’imprenditorialità, con la professionalità acquisita con gli studi, con l’emigrazione verso luoghi più favorevoli alla vita della famiglia stessa. I regimi totalitari vietano queste cose, perché potrebbero creare problemi all’interno dello Stato.

            Per poter giustificare le proprie scelte, spesso questi sovrani o dittatori esaltano filosofie di vita atee, di cui abbiamo già parlato, che deresponsabilizzano gli stessi governanti nei riguardi dei loro sudditi e mettono in atto leggi repressive di ogni trasgressione.

            La libertà che Dio ha dato alla creatura e che Lui stesso rispetta, viene repressa da piccoli uomini, che prendono in mano il potere e tiranneggiano altri uomini! Le dittature sorgono sempre quando il pensiero si indebolisce e lascia filtrare ogni ideologia, senza vagliarla al lume del retto  pensiero o del buon senso.

 

TEOLOGIA DEL CORPO MISTICO

            Gesù addirittura valorizza tanto la comunione tra le creature e il reciproco aiuto, che paragona la famiglia umana ad un grande corpo, di cui Lui stesso è il capo: Teologia del corpo mistico. Gesù parla di questa intima comunione in Lui nella parabola della “Vera Vite”: “Io sono la Vite, voi i tralci, se non rimanete uniti a me non potrete portare frutto” (Gv 15). San Paolo parla in quasi tutte le sue lettere del Corpo mistico, di cui Gesù è il capo e noi siamo le membra. Nel corpo tutto è coordinato al bene dell’organismo, le membra si aiutano reciprocamente, così nella Chiesa di Dio. Gesù può veramente dire: “Tutto quello che farete all’ultimo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me”, in verità poté chiedere a Paolo di Tarso: “Perché mi perseguiti?”, in verità ci dirà nel giorno del giudizio: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare….”.

            Questo discorso è molto chiaro, non presenta ambiguità, per poterlo liquidare, l’uomo di tutti i tempi, che vuole far ruotare tutto intorno a sé, non potendolo contraddire, nega l’esistenza di Dio, ma Dio non è un prodotto della mente, è una realtà, la più grande realtà e perciò non s’annulla perché qualcuno lo nega, è come il sole che non scompare perché qualcuno si copre gli occhi per non vederlo.

            Vivono la realtà del Corpo mistico tutti quelli che sono in perfetta osmosi tra cellule e organi, questa osmosi la può produrre solo l’amore che è la vita di Dio e degli uomini.

            Al N° 55 della nostra enciclica, il Santo Padre così si esprime:

 

            “La rivelazione cristiana sull’unità del genere umano presuppone un’interpretazione metafisica dell’humanum in cui la relazionalità è elemento essenziale. Anche altre culture e altre religioni insegnano la fratellanza e la pace e, quindi, sono di grande importanza per lo sviluppo umano integrale. Non mancano, però, atteggiamenti religiosi e culturali in cui non si assume pienamente il principio dell’amore e della verità e si finisce così per frenare il vero sviluppo umano o addirittura per impedirlo. Il mondo di oggi è attraversato da alcune culture a sfondo religioso, che non impegnano l’uomo alla comunione, ma lo isolano nella ricerca del benessere individuale, limitandosi a gratificarne le attese psicologiche. (New Age, Scientology, ecc) Anche una certa proliferazione di percorsi religiosi di piccoli gruppi (Le sette) o addirittura di singole persone, e il sincretismo religioso possono essere fattori di dispersione e di disimpegno. Un possibile effetto negativo del processo di globalizzazione è la tendenza a favorire tale sincretismo, alimentando forme di ‘‘religione “ che estraniano le persone le une dalle altre anziché farle incontrare e le allontanano dalla realtà. Contemporaneamente, permangono talora retaggi culturali e religiosi che ingessano la società in caste sociali statiche, in credenze magiche irrispettose della dignità della persona, in atteggiamenti di soggezione a forze occulte. In questi contesti, l’amore e la verità trovano difficoltà ad affermarsi, con danno per l’autentico sviluppo.

            Per questo motivo, se è vero, da un lato, che lo sviluppo ha bisogno delle religioni e delle culture dei diversi popoli, resta pure vero, dall’altro, che è necessario un adeguato discernimento. La libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali. Il discernimento circa il contributo delle culture e delle religioni si rende necessario per la costruzione della comunità sociale nel rispetto del bene comune soprattutto per chi esercita il potere politico. Tale discernimento dovrà basarsi sul criterio della carità e della verità. Siccome è in gioco lo sviluppo delle persone e dei popoli, esso terrà conto della possibilità di emancipazione e di inclusione nell’ottica di una comunità umana veramente universale. «Tutto l’uomo e tutti gli uomini» è criterio per valutare anche le culture e le religioni. Il Cristianesimo, religione del «Dio dal volto umano», porta in se stesso un simile criterio.

            Tutto quello che il Papa afferma lo ritroviamo nella vita quotidiana a tutti i livelli: si tende a negare Dio e nello stesso tempo si vede Dio in ogni incognita. Siamo tornati al paganesimo: ci manca solo che ci mettiamo ad osservare il volo degli uccelli e a vedere come sono intrecciate le loro viscere. Questo è il nostro decantato progresso?

            Le forze del male esistono e disturbano il nostro cammino terreno, ma c’è una sola forza capace di tenerle lontano ed è la fede in Dio e il ricorso a tutti i mezzi di grazia che Lui ci ha procurato. Questo nemico è stato già sconfitto da Gesù, è un cane legato, diceva Madre Speranza, se trova ardire è perché noi lo sciogliamo. Non abbiamo bisogno di fare sedute spiritiche per sapere il nostro avvenire: al termine del nostro cammino c’è Dio ad accoglierci, ma nella sua luce vedremo la nostra verità. Questa è l’unica cosa che deve interessarci: dopo la prova, essere trovati pronti per il possesso dell’immortalità nella gloria, ma questa non si può ottenere con l’ateismo e con una vita basata sull’egoismo. Dio è amore e noi dobbiamo diventare amore se vogliamo essere inseriti nel suo mistero.

            Quanto fin qui espresso, deve diventare orientamento per i singoli, per le famiglie, per i popoli, per il mondo intero:  

            La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica. La dottrina sociale della Chiesa è nata per rivendicare questo «statuto di cittadinanza» della religione cristiana. La negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione e ad operare perché le verità della fede informino di sé anche la vita pubblica comporta conseguenze negative sul vero sviluppo. L’esclusione della religione dall’ambito pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità. La vita pubblica si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente e aggressivo. I diritti umani rischiano di non essere rispettati o perché vengono privati del loro fondamento trascendente o perché non viene riconosciuta la libertà personale. Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità.

            Se la fede deve entrare nella vita pubblica, è necessario un dialogo rispettoso tra le religioni, ma non si possono accogliere quei principi religiosi che mortificano la libertà dell’uomo, discriminano la donna, diventano intransigenti verso le scelte individuali, ecc

             Il dialogo fecondo tra fede e ragione non può che rendere più efficace l’opera della carità nel sociale e costituisce la cornice più appropriata per incentivare la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace dell’umanità. Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes i Padri conciliari affermavano: «Credenti e non credenti sono generalmente d’accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e a suo vertice». Per i credenti, il mondo non è frutto del caso né della necessità, ma di un progetto di Dio. Nasce di qui il dovere che i credenti hanno di unire i loro sforzi con tutti gli uomini e le donne di buona volontà di altre religioni o non credenti, affinché questo nostro mondo corrisponda effettivamente al progetto divino: vivere come una famiglia, sotto lo sguardo del Creatore.

 

LA SUSSIDIARIETA’

            La sussidiarietà è un principio di democrazia che tende a promuovere l’iniziativa privata, ma l’autorità deve tenersi pronta ad intervenire in soccorso non appena l’individuo si trova in difficoltà.

            La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità. La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista. Essa può dar conto sia della molteplice articolazione dei piani e quindi della pluralità dei soggetti, sia di un loro coordinamento. Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano. Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace.

            Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno. Questa regola di carattere generale va tenuta in grande considerazione anche quando si affrontano le tematiche relative agli aiuti internazionali allo sviluppo.

            Questo principio è anche un principio della carità cristiana. Tutto quello che promuove la persona creata da Dio è gradito a Dio, naturalmente se ciò che fa è cosa buona. Né i singoli, né la famiglia, né lo Stato deve sussidiare iniziative che danneggiano la persona o le persone a cui tali servizi sono rivolti, la sussidiarietà deve sempre tendere al bene comune e mai il vizio o ciò che può promuoverlo.

            I genitori devono sostenere i figli negli studi, nella ricerca del lavoro, nell’organizzazione della sua vita, nello sviluppo delle loro potenzialità, ma non devono sostenerli finanziando i loro vizi e disordini o i loro intrallazzi per raggiungere cariche che non possono assolvere perché non adeguati. Ma quanto è difficile vedere nella verità, soprattutto se non si è in linea con “la Verità”!

            Chiediamo al Signore la grazia dell’onestà mentale e morale.

 

Questionario per l’approfondimento personale:

 

  1. Ti sei mai sentito solo pur vivendo in famiglia? Se sì, cosa mancava?
  2. Riesci ad avere un buon dialogo con tutti i membri della tua famiglia?
  3. Condividi con ogni membro della famiglia le gioie, le preoccupazione, i successi, gli insuccessi?
  4. La relazione con gli altri ti arricchisce?
  5. La tua famiglia, per il tuo impegno, sta diventando ciò che è nel disegno di Dio?
  6. C’è qualcuno a casa tua che ha tendenze dittatoriali? Perché può essere un male?
  7. Senti, verso i tuoi cari, oltre al vincolo del sangue quello del Corpo mistico di Cristo?
  8. Nella tua famiglia vige il principio di sussidiarietà?
  9. Ogni membro s’impegna a sviluppare le proprie potenzialità?
  10. Tu li aiuti quando li vedi in difficoltà?
  11. Ti premuri a verificare che il loro impegno sia a favore del bene comune e non per assecondare una passione?

 

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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