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MARZO 2010

     

DIRITTI E DOVERE ARMONIA DI VITA

 

            Il Papa nell’enciclica parla di diritti… Ma cosa sono i diritti?

            I diritti sono benefici che ci appartengono perché ci sono stati dati da un’autorità superiore. La legge garantisce questi diritti nei vari ordinamenti degli Stati.

            I diritti umani si basano sul fatto che siamo uomini, ma oggi dobbiamo dire che i diritti derivano dall’antropologia che riconosciamo come propria.

            L’antropologia è la scienza che studia l’origine dell’uomo e la sua posizione nello schema di classificazione degli animali.

            Oggi la confusione sta nel modo di concepire la vita, perché ci sono vari tipi di antropologia, che generano correnti di pensiero differenti e quindi non avendo in comune le idee portanti, non ci capiamo:

  • Se io sono come un rizoma (Antropologia radicale), senza radici e senza fusto, quello che mi appartiene è l’attimo che passa e che io posso riempire di piacere, se me ne è data l’opportunità, ma non mi appartiene la progettualità, perché in questo progetto, non si vede un punto di origine e uno di arrivo, né un’autorità superiore all’uomo che conferisca questi diritti;
  • se io sono una lattina vuota vagante nello spazio, senza meta e senza peso (antropologia nichilista), mi appartiene la depressione, l’impotenza, l’assenza di progetto, perché io non sono protagonista della mia vita, vivo il vuoto assoluto;
  • se io sono come un robot telecomandato (progetto informatico) mi appartiene il calcolo esatto, il funzionamento, l’esecuzione magari a distanza, ma non stringo relazioni significative…
  • ma se sono una creatura di Dio, dotata di corpo, intelligenza, volontà, spirito, se sono stata creata per un bisogno d’amore del Creatore (verità rivelata), se sono destinata all’immortalità nella gloria, a condizione che io liberamente lo voglia e m’impegni a vivere nell’amore verso Dio e verso il prossimo, allora mia appartiene, è mio diritto:
    • professare il mio amore a Dio che è la mia origine (libertà religiosa);
    • mi appartiene la vita che mi è stata donata da Lui e che nessuno può toccare, dal concepimento al declino naturale, proprio perché mi è stata data nel tempo, perché io dia la mia risposta e assolva alla mia missione (diritto alla vita);
    • mi appartiene l’educazione religiosa, cioè sapere ciò che sono, da dove vengo, dove vado, cosa mi attende dopo la vita; mi appartiene la conoscenza di Dio, perché dalla conoscenza dipende la volontà per poter decidere del mio destino (diritto all’educazione religiosa);
    • mi appartiene anche l’istruzione nello scibile umano, per non perdermi nei sillogismi della nostra società a volte capziosi, per potermi difendere dall’errore, per potermi inserire nell’ambito del lavoro, ecc.(diritto all’istruzione).

            Questi ed altri sono diritti inalienabili, principi non negoziabili, direbbe il Papa.

            Ma perché questi diritti ci siano riconosciuti, bisogna parlare lo stesso linguaggio, bisogna fare discernimento tra le varie filosofie e anche quelli che si dichiarano non credenti, devono chiedersi quale via è più saggio seguire, non solo per conseguire l’immortalità nella gloria, ma anche per stabilire qui in terra un modo di comportarsi più civile, più sereno, più adeguato alle esigenze profonde di ogni uomo.

            Le filosofie radicale, nichilista, esistenzialista, danno una parvenza di onnipotenza all’uomo, che pensa di poter fare quello che decide senza porsi problemi di coscienza, ma non permettono di creare relazioni stabili, perché non appena nella relazione subentra qualcosa di non gradito, si lascia per iniziare una nuova avventura. Ma questo modo di vivere è deresponsabilizzan-te, perché la persona si rende insensibile, non pensa a ciò che lascia dietro di sé e inoltre la persona non cresce, perché ad ogni nuova esperienza, torna in dietro e ricomincia da capo.

            Questo accade perché il diritto di decidere della propria vita non è accompagnato dal dovere di rispettare i diritti altrui, di rispettare i sentimenti altrui, in primo luogo quelli delle persone che vengono a far parte della nostra storia: il coniuge, i figli, i genitori, ecc. Se le scelte individuali disorientano e danno dolore agli altri, possiamo veramente dire che quelle scelte sono buone?

            Ma i seguaci di queste filosofie non si pongono il problema degli altri, perché hanno esaltato l’io e l’hanno reso sovrano assoluto, un sovrano spietato, dal cuore duro, hanno rinunciato anche ad usare l’intelligenza, regna sovrano solo il dio piacere: quello che mi piace è legge per me, nessuno deve interferire con le mie scelte, nessuno deve giudicarle, nessuno deve farsi arbitro della mia vita. E’ l’anarchia totale!

            Oggi sono moltissime le persone che soffrono a causa di queste relazioni irresponsabili, che generano povertà, abbandono, vuoti incolmabili… La nostra società soffre. E’ questo ciò che vogliamo? Con queste idee ha un senso il vivere in società? Quali leggi si possono fare per soddisfare il popolo?

            Con l’ordinamento democratico, che assegna la vittoria alla maggioranza numerica, si possono fare anche leggi che contraddicono la Costituzione, perché la Costituzione è stata stilata in base ai valori umani, che coincidono con quelli evangelici. E allora? I radicali dicono: “Cambiamo la Costituzione!” Ma è la Costituzione da cambiare o dobbiamo cambiare noi?

 

Senza doveri non c’è civiltà

            Senza ammettere di avere dei doveri verso la società, non vi può essere sviluppo integrale, perché non c’è presa di responsabilità, non c’è attenzione all’altro, non c’è crescita personale non si progredisce verso il dono gratuito di sé, in ultima analisi non c’è società: una società si stabilisce quando un gruppo umano si unisce per raggiungere più facilmente degli obiettivi, quando si condividono alcune idee, quando si integrano i servizi per il bene comune, ma tutto questo è possibile quando si accettano le regole della società stessa, che s’impegna a salvaguardare i nostri diritti, a patto che noi salvaguardiamo quelli degli altri, quindi ci assumiamo dei doveri.

            Verso gli altri abbiamo dei doveri, non solo per coscienza religiosa, ma per coscienza umana. Non posso usare la vita altrui per il mio spasso e poi buttarla via quando voglio cambiare giocattolo! Nella vita si fanno scelte che impongono doveri seri, tra questi il più importante è il matrimonio. Fin dal fidanzamento bisogna essere molto responsabili, perché non è giusto  impegnare la vita di un proprio simile solo per divertirci e poi, dopo anni di illusioni, di progetti, licenziare la persona con una scrollata di spalle! E’ vero che il fidanzamento è periodo di prova, ma non si può protrarre la prova per tanto tempo, perché questo è tempo che noi togliamo all’altro/a per organizzare la sua vita in maniera diversa! Per questo bisogna essere molto seri fin dall’inizio, non illudere il proprio partner con promesse che non siamo sicuri di poter mantenere, non si può giocare con i sentimenti e magari intrattenere più relazioni in contemporanea, per il nostro capric-cio, sottovalutando il male che stiamo facendo all’altra persona che si fida di noi! Queste sono mancanze serie e oggi si moltiplicano proprio per queste filosofie di vita deresponsabilizzanti.

            Un società si stabilisce quando tra i membri si crea il senso di appartenenza, quando non si condivide solo il patrio suolo, ma si condividono i problemi, gli assilli, le gioie, i progetti…

            Tutto questo è possibile se usciamo dagli schemi falsamente liberanti delle filosofie moderne, che in realtà stringono il cerchio intorno all’io, come le spire di un serpente e non vi fanno entrare nemmeno il proprio coniuge, i propri figli! Queste filosofie fanno ripiegare il cuore su se stesso in un narcisismo esasperato.

            Il modo di ragionare è questo: “Io ho diritto a star bene, a procurarmi ogni piacere, a godere di ogni occasione che mi si presenta…, gli altri non contano per me; se un giorno mi è piaciuto sposarmi, se ho voluto sperimentare la gioia di essere genitore, se mi è piaciuto farmi una casa, ma ora tutto questo è diventato un peso, me ne libero, cercando altrove altre soddisfazioni, cominciando altre storie “leggere”. Questa parola è stata usata da una psicologa, come consiglio ad una paziente che le manifestava la fatica di essere fedele: “Vivi in maniera leggera, cogli l’attimo, non darti pensiero, fanno tutti così, non sei un’eccezione…”! E questa persona, così consigliata, sta sciupando la sua giovinezza senza realizzarsi in un progetto serio, per non soffrire la difficoltà di costruire con buona volontà una relazione buona. In questa maniera si resta adolescenti a vita.

            Comunque questa situazione non ha nulla di così nuovo da potersi chiamare progresso: gli Epicurei, nel tempo d’oro della Grecia prima e nell’Impero Romano poi, la pensavano alla stessa maniera (Epicuro: Samo 341 a.C. – Atene 270 a.C.) ma hanno portato la Grecia e l’Impero allo sfacelo; nelle corti rinascimentali di Lorenzo il Magnifico si inneggiava all’attimo che figge, “Chi vuol essere lieto sia, del doman non c’è certezza”  (Lorenzo il Magnifico Canti carnascialeschi, Inno alla giovinezza) ma poi tutta l’opulenza di queste grandi potenze si è esaurita proprio per il prevalere dell’edonismo e della mancanza di valori. Queste forme di materialismo, di edonismo, sono tipiche dei tempi di maggiore benessere, che facilita il proliferare dei vizi, la ricerca dei piacere e il rifiuto dei doveri.

            Ora ci troviamo ad una svolta storica: la affronteremo da persone responsabili o da egoisti che non sanno prevedere il futuro e si accontentano di approfittare della debolezza altrui per il proprio tornaconto immediato, per poi trovarsi in futuro con problemi molto più grandi?

            Ascoltiamo il Papa:

             «La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere». Molte persone, oggi, tendono a coltivare la pretesa di non dover niente a nessuno, tranne che a se stesse. Ritengono di essere titolari solo di diritti e incontrano spesso forti ostacoli a maturare una responsabilità per il proprio e l’altrui sviluppo integrale. Per questo è importante sollecitare una nuova riflessione su come i diritti presuppongano doveri senza i quali si trasformano in arbitrio. Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l’altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell’umanità. Si è spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli.

            La relazione sta nel fatto che i diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata e priva di criteri. L’esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri. I doveri delimitano i diritti perché rimandano al quadro antropologico ed etico entro la cui verità anche questi ultimi si inseriscono e così non diventano arbitrio. Per questo motivo i doveri rafforzano i diritti e propongono la loro difesa e promozione come un impegno da assumere a servizio del bene. Se, invece, i diritti dell’uomo trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini, essi possono essere cambiati in ogni momento e, quindi, il dovere di rispettarli e perseguirli si allenta nella coscienza comune. I Governi e gli Organismi internazionali possono allora dimenticare l’oggettività e l’«indisponibilità» dei diritti. Quando ciò avviene, il vero sviluppo dei popoli è messo in pericolo. Comportamenti simili compromettono l’autorevolezza degli Organismi internazionali, soprattutto agli occhi dei Paesi maggiormente bisognosi di sviluppo. Questi, infatti, richiedono che la comunità internazionale assuma come un dovere l’aiutarli a essere «artefici del loro destino», ossia ad assumersi a loro volta dei doveri. La condivisione dei doveri reciproci mobilita assai più della sola rivendicazione di diritti.

 

            La Chiesa, madre e maestra, ha sempre educato i popoli all’assunzione di responsabilità, ma questo non è sufficiente esprimerlo in un documento ufficiale, il Cristianesimo stesso rimanda alla responsabilità personale, interpella l’individuo a dare la sua risposta a Dio e dandola a Dio s’impegna ad assumersi tutti i suoi doveri anche civili. Quando chiesero a Gesù se era giusto dare il tributo a Cesare, Gesù rispose. “Dai a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, cioè dai a “Cesare”, che deve provvedere a facilitare la tua vita con tanti servizi, il contributo stabilito, ma dai a Dio l’amore con cui assolvi a questo tuo dovere, facendolo per amore.

            “La Chiesa, che ha a cuore il vero sviluppo dell’uomo, gli raccomanda il pieno rispetto dei valori umani anche nell’esercizio della sessualità: non la si può ridurre a mero fatto edonistico e ludico, così come l’educazione sessuale non si può ridurre a un’istruzione tecnica, con l’unica preoccupazione di difendere gli interessati da eventuali contagi o dal «rischio» procreativo. Ciò equivarrebbe ad impoverire e disattendere il significato profondo della sessualità, che deve invece essere riconosciuto ed assunto con responsabilità tanto dalla persona quanto dalla comunità. La responsabilità vieta infatti sia di considerare la sessualità una semplice fonte di piacere, sia di regolarla con politiche di forzata pianificazione delle nascite. In ambedue i casi si è in presenza di concezioni e di politiche materialistiche, nelle quali le persone finiscono per subire varie forme di violenza. A tutto ciò si deve opporre la competenza primaria delle famiglie in questo campo, rispetto allo Stato e alle sue politiche restrittive, nonché un’appropriata educazione dei genitori.

            L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica. Grandi Nazioni hanno potuto uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti. Al contrario, Nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere. La diminuzione delle nascite, talvolta al di sotto del cosiddetto «indice di sostituzione», mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l’accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei «cervelli» a cui attingere per le necessità della Nazione. Inoltre, le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà. Sono situazioni che presentano sintomi di scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale. Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona. In questa prospettiva, gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società, facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale.

            Il problema della denatalità è legato molto al modo di concepire la vita: chi si regola sul “mordi e fuggi”, non costruisce futuro e impedisce anche ad altri di farlo, perché usa il tempo dell’altro/a per il suo piacere e non per realizzare un progetto matrimoniale.

            Urge rieducare al valore grande della fedeltà, della responsabilità, della rinuncia, del sacrificio, ma soprattutto dell’amore, che toglie a tutti questi doveri l’amaro della sofferenza.

            E’ emergenza educativa, diceva Don Giussani, è emergenza educativa, ripete il nostro Papa, che sa quanto sono importanti le idee per il retto agire. Se non si rimette ordine nella mente, nel senso che riconsideriamo l’uomo per quello che è e ridisponiamo nei stessi nell’alveo giusto di una società responsabile, che assegna a tutti indistintamente diritti e doveri, continueremo a lamentarci perché le cose non vanno bene, ma se noi stessi cominciamo a risanare la cellula che siamo e a portare energia sana nel corpo sociale e nel corpo mistico di Cristo, vedremo il passaggio progressivo della nostra società dall’angoscia alla speranza.

            Mettiamo noi stessi e la nostra famiglia in questa verità e facciamo tutto il possibile per essere coerenti con gli impegni assunti. A quel punto potremo dire: “Io ho fatto la mia parte”. Ci assista il Signore.

 

Questionario per l’approfondimento personale:

    • Ti sembra di assolvere a tutti i tuoi doveri verso Dio?
    • Ti sembra di assolvere a tutti i tuoi doveri verso i tuoi familiari?
    • I tuoi figli vedono in te un genitore responsabile nel lavoro, nell’unione di coppia, nell’educa-zione?
    • La tua famiglia risente del pensiero edonistico di concepire la vita tipico del nostro tempo?
    • Che forza ha nella tua vita personale il piacere? Ti fa trasgredire a qualche dovere?
    • Ti angoscia la situazione di violenza che si riscontra nella nostra società? Come la contrasti?
    • Educhi i tuoi figli alla sobrietà, alla rinuncia, alla solidarietà tra fratelli?
    • Nutri una profonda fiducia verso Dio o pensi a garantirti l’avvenire con un buon conto in banca?
    • Hai accolto e accogli tutti i figli che il Signore vuole donarti?
    • Vivi in rendimento di grazia ogni tua giornata?
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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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