IL MATRIMONIO NEL TERZO MILLENIO
matrimonio


NOVEMBRE 2022

   DEGENERAZIONE DELL'AMORE  

Femminicidio: perché gli uomini uccidono le donne?

L’ondata di follia assassina che ha riempito le cronache degli ultimi mesi impone qualche ulteriore riflessione su un fenomeno che spesso viene proposto dai mass media come l’esasperazione patologica di un sentimento, come una passione in grado di superare i confini del razionale per dilagare incontrollata in un territorio oscuro e primitivo, quasi bestiale. Per questo non mi trovo d’accordo con definizioni del tipo “amore criminale” o “delitto passionale” ma preferisco usare il termine “femminicidio”, parola coniata per le centinaia di donne vittime della spietata guerra tra narcotrafficanti che affligge il territorio messicano di Ciudad Juarez ma ormai traslata nei vocabolari sociologici di tutto il mondo.

Certo, passionale riporta etimologicamente al greco “pathos”, letteralmente sofferenza, termine che imprime su di sé l’immagine del sentimento più profondo, pulsionale, quello che si ribella e si svincola dal controllo della ragione e della volontà. Quello che non permette di tollerare la frustrazione del rifiuto, dell’abbandono, del distacco. Quello che esprime il rabbioso tormento del maschio privato del suo potere assoluto sul corpo e sulla mente della femmina. Quello che mostra l’invidia e il rancore dell’uomo nei confronti di donne che, conclusa la fase del coinvolgimento e del desiderio, mostrano di considerarlo un essere indisponente e superfluo, donne che non si barattano con due mucche e una capra, che non si comprano al mercato, come ancora accade in qualche luogo di questo nostro mondo evoluto e tecnologico.

Non è facile, però, trovare una spiegazione logica e univoca del perché un individuo possa produrre un comportamento così estremo. Contrariamente a quanto accade per la maggior parte degli omicidi, in questo tipo di delitti il movente sembra essere l’attaccamento amoroso, un attaccamento morboso, deformato, possessivo, sciupato e lacerato da continui litigi e incomprensioni, ritmato da sfoghi aggressivi e plateali pentimenti. Tra le pieghe di queste relazioni spesso si sviluppa una violenza silenziosa, subdola, fatta di ricatti psicologici e morali, di continue mortificazioni che genera, giorno dopo giorno, un penetrante vincolo con l’aggressore difficile da accettare ma altrettanto difficile da sciogliere perché, paradossalmente, diventa “normale”. Dietro le quinte di un comportamento delittuoso c’è comunque sempre una storia malata e l’omicidio non è altro che la tragica, esasperata risoluzione di un rapporto patologico la cui degenerazione si riflette sull’amore alterandolo, soffocandolo, uccidendolo. In un’alta percentuale di casi viene evocata l’aggravante della gelosia, di quella cieca paura del tradimento, dell’abbandono, dell’umiliazione reale o simbolica che ferisce l’orgoglio e l’egoismo maschile e che si esprime nelle forme moleste della rabbia e della vendetta.

Negli autori di crimini passionali prevale frequentemente una personalità borderline (Il disturbo borderline di personalità è un grave disturbo di personalità caratterizzato da intensa instabilità e conflittualità nelle relazioni interpersonali, paura dell'abbandono, disregolazione emotiva, sensazione cronica di vuoto, comportamenti autolesivi e impulsività) con tutto il suo carico di disgregazione emotiva, di insicurezza, di rabbia repressa che esplode nel momento in cui la vittima cerca di sottrarsi alla funzione che inconsapevolmente ricopre. In altre parole l’assassino, temendo contemporaneamente da un lato la simbiosi e la perdita della propria identità e dall’altro l’abbandono, cerca di controllare le componenti irrisolte della propria personalità attraverso il dominio e il possesso della sua compagna. Se vede allontanarsi, anche in modo allucinatorio, questo suo punto di riferimento vive l’angoscia che le sue certezze possano crollare e si sente perso.

L’origine, osservando il fenomeno in un’ottica clinica, affonda le sue radici nell’infanzia e riporta a due temi prevalenti. Quello dell’attaccamento incerto e insicuro del bambino nei confronti della figura materna e quello del vuoto affettivo e della mancanza di cure fisiche con conseguente fissazione sul desiderio di un amore fusionale che impedisce la strutturazione di un sentimento adulto. L’amore maturo e strutturato si fonda infatti su un rapporto sano e gratificante con i propri genitori e sul positivo superamento di tutte le fasi dello sviluppo psico-affettivo e sessuale. Del resto l’uomo incontra durante la sua vita numerose separazioni. Da quella originaria, dal ventre materno, a quelle dell’infanzia e dell’adolescenza, fino a quelle vissute attraverso i cambiamenti del proprio corpo. La capacità di accettare e di elaborare tali distacchi è determinata proprio dall’acquisizione, a livello simbolico, di un nucleo protettivo adeguato a cui far riferimento nel momento del bisogno. Se ciò non avviene le separazioni vengono vissute come g qualcosa di catastrofico poiché la perdita dell’oggetto d’amore corrisponde alla perdita di se stessi. Paura, solitudine, incoerenza, rifiuto e abbandono possono quindi generare insicurezza, scarsa autostima, dipendenza affettiva. Così, solo attraverso processi compensatori di deformazione, cancellazione e generalizzazione, diventa possibile ridefinire la realtà in modo da r enderla più prevedibile, più tollerabile, più aderente ai propri bisogni dando significato al proprio senso di incompiutezza e cercando nell’altro qualcuno con cui integrarsi, con cui completarsi.

Ma nella costruzione di questa realtà soggettiva e allucinatoria possono mescolarsi e confondersi quelli che S. Karpman definisce i ruoli del “triangolo drammatico” e cioè quelli della Vittima, del Salvatore e del Persecutore. L’illusione di essere indispensabili all’altro può progressivamente trasformarsi in un’ossessione che, spinta all’eccesso nel tempo e nello spazio, può trasformare l’individuo in persecutore attraverso il controllo rigido e la colpevolizzazione o attraverso un amore esasperato e soffocante. E se la missione fallisce diventa poi facile indossare la maschera della vittima trasformando la partner nella causa di tutti i propri mali, in colei che nonostante gli sforzi e l’impegno ha negato l’amore offertole chiudendo il cerchio e riproponendo il modello del rifiuto e dell’abbandono con tutto il suo carico di rabbia, impotenza, animosità e disperazione. Per tale motivo quasi mai questo tipo di crimini è frutto di un raptus omicida anche quando il delitto si presenta irrazionale, illogico, folle. Seppure il gesto appare spropositato questa forma di delitto si differenzia dall’atto impulsivo proprio perché è frutto di una progressiva corrosione della volontà, di una distorsione affettiva che paralizza il potere del controllo e del senso critico, di un rabbioso tormento a lungo rimuginato che in un momento diventa realtà. La morte è un mezzo di controllo estremo, un potente strumento di potere e di superiorità, un delirante atto di giustizia e di liberazione interiore e la lucidità è il cinico correlato necessario per godersi tutta la scena…

Comunque sia, per vendetta o per punizione, per paura dell’abbandono, della solitudine, per sospetto o per collera, ad analizzare a fondo le statistiche, chiudere una storia lasciando il proprio partner equivale ad avere circa il 30% di probabilità di essere perseguitate, molestate, minacciate, picchiate o addirittura uccise da lui. I maltrattamenti e le vessazioni il più delle volte sono lunghi e articolati, fatti di messaggi ingiuriosi, richieste assillanti e ossessive ad ogni ora del giorno e della notte, appostamenti e persecuzioni con incursioni negli spazi privati delle vittime. Per questo dal 2009, seguendo le orme di molti Paesi europei, ma non senza difficoltà e con la diffidenza di molti politici e giuristi, anche in Italia è stato finalmente codificato il reato di stalking. Finalmente perché è ormai confermato da studi e statistiche che chi uccide, violenta o picchia una donna che conosceva bene, l’aveva già minacciata o perseguitata almeno una volta.

È agghiacciante pensare che nel mondo occidentale la maggior causa di mortalità femminile è per mano di un uomo e che una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, è stata vittima di qualche forma di violenza. Tradotto in numeri fa ancora più impressione. Sei milioni743mila le vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, sette milioni 134mila quelle che subiscono o hanno subito violenza psicologica. Anche i dati sullo stalking mettono i brividi: in poco più di un anno dall’entrata in vigore della legge gli arrestati sono stati oltre 1.200 e i casi segnalati oltre 7mila.

Certo, la violenza sulle donne è un fenomeno che si perde nella notte dei tempi, tanto deplorevole quanto diffuso, espressione di una cultura che nonostante decenni di femminismo, emancipazione, liberazione, pari dignità e pari opportunità continua a considerare la donna una proprietà privata del maschio. “Qualcosa” che gli appartiene e sulla quale può esercitare un potere e un diritto assoluti, magari con la scusa di non essere stato capito, di non volerla perdere, di amarla troppo. Per questo è assolutamente indispensabile che anche le donne imparino a riconoscere la gravità delle violenze e a prevenirne gli effetti eliminando radicalmente la tendenza a lasciar correre, a giustificare i comportamenti aggressivi evitando illusioni salvifiche e materne, riconoscendo la propria autonomia, la propria indipendenza, la propria libertà e non temendo la propria solitudine. E se in questo fossero aiutate direttamente e indirettamente da strutture in grado di avviare anche dei percorsi di sostegno e di recupero terapeutico delle personalità violente, forse questa mattanza potrebbe, gradualmente, essere circoscritta ed eliminata e non solo mitigata.

 dott. Filippo Nicolini, psicoterapeuta area sessuologia clinica

 Un passo in dietro

            Questa situazione veramente sconvolgente rimanda alla famiglia sia dell’uccisore come dell’uccisa. Si tratta comunque di due creature ferite psicologicamente fin dall’infanzia: “Carenza affettiva”, scarsa “autostima”, scarso “Dominio di sé”, fretta di uscire di casa …

            La formazione della personalità dei figli dipende in gran parte dai genitori che dovrebbero sapere che, fin dal concepimento comincia il loro compito di trasmettere i grandi valori della dignità personale e della vita sociale in genere. Anche se può sembrare il contrario, il bambino fin dai primi giorni di vita stringe con i genitori un rapporto empatico, che gli permette di cogliere i loro sentimenti e di impregnarne la sua personalità vergine, quindi molto recettiva.

Certe immaturità o personalità ferite, che poi sono le vittime di gravi problemi familiari, rimandano proprio alla loro formazione iniziale, all’impostazione della loro personalità. Ma esse si tramandano di generazione in generazione, se non si decide di fermare la deriva, imparando a gestire personalmente il problema senza tramandarlo.

Per fare questo la persona deve acquistare il dominio di sé, l’autocontrollo, la capacità di confronto di cui abbiamo parlato nella tappa precedente.

 

Ma sempre dei genitori è la colpa?

Dice Gesù: (Lc 6:43-45)

 Non c'è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo. L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.

In realtà il legame genitori – figli è molto importante e dovrebbe essere impostato sull’amore ma a volte i genitori a loro volta sono carenti, non hanno raggiunto la maturità che si richiederebbe a chi si rende responsabile della vita di altre creature. Non basta saper fare i figli per metter su famiglia, bisogna saper anche educare i figli, perché siano in grado di affrontare la vita con tutte le sue incoerenze, i suoi tranelli, le sue assurdità.

Il periodo del fidanzamento è sommamente importante a questo scopo: dovrebbe essere un tempo che la coppia si concede per conoscere se la sua stessa formazione umana e cristiana ha raggiunto un buon livello e anche se la maturazione del partner può garantire una buona capacità di interagire per affrontare insieme le difficoltà della vita. Se li unisce solo il desiderio di mettere fine alla solitudine, di uscire dalla casa paterna divenuta opprimente o il desiderio del piacere sessuale immediato … si rischia molto proprio perché non si conosce abbastanza l’altra persona soprattutto negli aspetti del rispetto della libertà altrui, nell’accettazione dell’insuccesso o del rifiuto, dei progetti infranti …

Ci sono persone che proprio per carenze affettive, per scarsa autostima, per scarsa capacità di dialogo, nel momento del rifiuto diventano pericolose perché non sono in grado di gestire la frustrazione dell’abbandono, magari dopo aver subito già tanti abbandoni nell’infanzia.

Se una persona vuole farsi sostegno di queste fragilità, lo può anche fare ma deve esserne consapevole e deve avere un alto dominio di sé per assorbire le conseguenze delle sue frustrazioni. La Chiesa non chiede l’eroismo ma suggerisce che i rapporti prematrimoniali non siano compromettenti. Dio fin dal Sinai ci ha dato un comandamento, il sesto: “Non fornicare, non commettere atti impuri, non commettere adulterio”, proprio per metterci al riparo da eventuali maternità o paternità precoci, fuori tempo, che ci troverebbero impreparati a portarne il peso.

Chi trasgredisce il comando di Dio si può trovare anche in giovane età, a fare un passaggio immediato dalla giovinezza ad una vecchiaia astiosa e indesiderata. Tante volte proprio per tirarsi fuori da queste trappole si incorre in decisioni che possono portare il partner all’esasperazione, alla disperazione e anche alla violenza omicida.

Sintesi? La giovinezza non va vissuta con superficialità, non ci sono licenze che ci vengono concesse a diciotto anni e anche prima. Ci sono licenze pericolose che non vanno concesse mai, pena gravi pericoli. Celebrare i diciotto anni non può significare cominciare a vivere autonomamente evadendo dal controllo dei genitori, deve significare invece passare dalla spensierata giovinezza ad una vita responsabile. A mio giudizio si dovrebbero fare dei veri corsi di maturazione della personalità affettiva e valoriale proprio per poter affrontare il fidanzamento, che, fra l’altro, avrebbe bisogno di un rodaggio, accompagnato da persone mature e responsabili.

So che questo significherebbe svuotare l’amore di tutta la sua romanticità, la sua  spontaneità, ma forse si formerebbero famiglie molto più sane psicologicamente, molto più capaci di interagire, molto più capaci di controllare la veemenza dei sentimenti propri e altrui, molto più serene.

Dio è Padre e sa ciò che ci fa veramente bene e ciò che potrebbe danneggiarci. Ma i comandamenti di Dio ci sono dati per metterli in pratica, se oggi si preferisce annullarli, poi non possiamo lamentarci delle conseguenze.

Tutto ciò che Dio vuole o permette e’ sempre il maggior bene per noi, anche se ci sembra il contrario. Dio ci chiede un po’ di sacrificio ma ci risparmia grandi sacrifici, grandi rimorsi e il rischio della perdizione eterna.

 

Una ricetta per il terzo millennio

            Una ricetta per il terzo millennio? “Coppia, ritorna a Dio con tutto il cuore, seguilo come un Padre e una tenera Madre”, ti ama troppo per vederti soffrire così, gli dispiace troppo che tu ti abbrutisca nel peccato e rischi anche la tua vita per aver fatto delle scelte sbagliate, dettate dalla voglia di piacere immediato, senza prevederne le conseguenze.

            Il mondo non ci aiuta a fare scelte giuste, è troppo interessato ai nostri vizi ed è impegnato potenziarli per trarne profitto economico, ci prospetta la felicità materializzandocela in immagini allettanti ed ingannevoli, perché ne siamo conquistati. Il mondo è un grande persuasore occulto del quale non ci accorgiamo se non quando la sua trappola ci stringe e non ci dà via di scampo. Non crediamogli, il “Fanno tutti così” non è un motivo perché facciamo altrettanto e poi ci troviamo negli stessi pericoli, nello stesso disonore, dopo aver sparso tanto male intorno a noi.

            Uomo del terzo millennio, pensa e rifletti, se veramente sei intelligente e libero, e decidi.

 

PER LA REVISIONE PERSONALE

·      Ti puoi ritenere soddisfatto della personalità che hai ricevuto? Sai fare scelte di valore?

·      Rispetti i comandamenti di Dio o li adatti secondo le circostanze?

·      Hai trovato difficoltà nel tuo matrimonio? Riesci a gestirle dignitosamente?

·      Nella tua famiglia si vive un clima sereno. Gli imprevisti vengono affrontati insieme?

·      Riuscite a correggervi senza offendervi? Sai tenere a bada le tue e le sue intemperanze?

·      Se ti senti soddisfatto/a a cosa ne dai il merito? Alla fede, alla preghiera, alla comunità?

·      Orienti i tuoi figli a fare scelte responsabili? Li aiuti a vivere una sessualità sana e santa?

·      Hai qualcosa di cui pentirti e chiedere perdono a Dio? Preghi per i tuoi familiari?

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