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APRILE 2021

     

 (Continua la storia di Maria Luisa)

ANCORA DALLA SIGNORA ANNA

Io, da parte mia pensavo sempre di restare a casa, e facevo di tutto per essere ben voluta da tutti, anche se sentivo sempre come un vuoto, un sipario intorno a me in presenza degli altri, e soffrivo in silenzio, cercavo di non farlo notare a nessuno e continuavo a raccogliere ogni emozione dentro di me. Cercavo di godere di ogni cosa che vedevo e che succedeva. A volte mi chiedevo: “Cosa succedeva quando io non ero in casa? Cosa facevano? Mi pensavano? Mi volevano bene? Qualche volta desideravano la mia presenza?” Come sempre a tutte queste mie domande non avevo mai una risposta che mi potesse aiutare o consolare. Anzi, alle mie domande segrete, un giorno ebbi una risposta che non mi aspettavo. Non ricordo come, quando e perché, la mamma mi riportò dalla signora Anna. Questo successe quasi subito, dopo la mia prima comunione.

Andammo a trovarla a S.G. La Punta. I motivi della visita saranno stati tanti, perché ricordo che mia madre mi disse che era venuta lei stessa a casa mia mentre io ero dallo zio Giovanni, per sapere di me, prima che se ne andasse in villeggiatura. In quella occasione avrà preso accordi con mia madre, promettendole che mi avrebbe rimandata da lei, facendole sperare di nuovo il meglio per me. Il fatto sta che arrivai con mamma a quella villa dove avevo tanti ricordi.

La signora Anna e suo marito ci accolsero con tanto entusiasmo. Io da parte mia mi sforzavo di essere contenta, ma in cuor mio non lo ero. Non ci poteva essere gioia in me, perché da loro avevo trascorso anni di sofferenze, sia per il loro modo di trattarmi, sia perché avevo persi gli anni più belli della mia vita, rimanendo esclusa dalla mia famiglia. Non c’era comunque niente da fare: Non avevo la forza di oppormi alle decisioni degli altri, né di farlo  capire a mia madre e a tutti i miei. Quando mia madre  se ne andò, dopo avermi salutata e raccomandata alla signora Anna, il mio cuore si rabbuiò, e fui di nuovo triste come negli anni precedenti: non solo; nonostante la mia tristezza, dovevo dimostrarmi contenta di essere ritornata a vivere di nuovo con loro. Bene! Ho inghiottito anche questa amarezza. Naturalmente la casa era ormai finita, con porte, finestre e tutto. Trovai ancora i muratori, perché stavano completando la casa in fondo al podere.

 Dovetti contrastare anche la signora Anna, per la sua solita ironia, petulanza, con le sue prese in giro e il suo modo di offendere. Comportamenti che io in lei non avevo potuto mai sopportare, e dovevo subire ingiustamente. Dopo tutti quei mesi trascorsi a casa mia, la signora Anna era curiosa di sapere quello che avevo fatto. Mi  chiedeva della mia prima comunione, perché già lo sapeva da mamma che le aveva portato i confetti. Io tutta contenta raccontavo, più o meno, come era andata. Dei regali che avevo ricevuto e di tutto il resto. Però vedevo il suo viso tirato, con un sorriso ironico rivolto a suo marito, lui per riflesso la assecondava e poi incominciava a disprezzare i miei, i regali che avevo ricevuto, il mio ambiente e andava dicendo che ero sciupata. Poi chiamò i vicini, che già mi conoscevano, e dal modo in cui si rivolgeva a loro, anche se non era vero, essi ripetevano quello che lei diceva, soprattutto che ero sciupata. Passati appena pochi giorni, dicevano che per merito loro, di già ero più rifatta, più colorita.

Io non avevo voglia di continuare a raccontarle quanto avevo fatto  a casa mia. I ricordi li tenevo dentro di me come tesori, perché odiavo quel suo modo di sentirsi superiore e di giudicare o disprezzare qualsiasi cosa.

Non avrebbe mai capito, o non lo voleva capire, che in ogni famiglia anche se povera, esistevano anche le cose belle; bontà, umanità, educazione e tante altre buone qualità che a lei mancavano.

Poi, nemmeno a farlo apposta, mi ritrovai coi i pidocchi in testa.

Per mia sfortuna, quando ero dallo zio Giovanni, a furia di pulire i pollai, mi riempii la testa di pidocchi di gallina. A casa mia non si erano accorti di niente, perché essi non si vedono subito, prima attaccano le uova  nei capelli, si moltiplicano e poi, pian piano, si presentano nella loro natura  di pidocchi. Per la signora Anna quella era la prova che aveva ragione a pensare che a casa mia ero stata veramente male. In silenzio, dovetti subire tutto quello che diceva. Mi tagliò i capelli. Io mi vergognavo, e per i primi giorni tenevo un fazzoletto in  testa. Passò anche questa disdetta.

Ripresi i miei compiti da svolgere, e certo a lei aveva fatto piacere il mio ritorno, perché l’aiutavo tanto e poi, diciamolo pure, perché avevano sentito la mia mancanza; me lo facevano capire i tanti modi. Notavo anche che mi trattavano con più attenzione, e questo era qualcosa per me.

Con piacere andavo a prendere il latte al solito posto, durante la strada sognavo ancora di più di prima. Camminando per quelle strade alberate e vedendo quella grande stalla con tante mucche, e, il pomeriggio, come al solito dando l’acqua alle piante, coi miei pensieri volavo in un altro tempo e luogo.      

Ripensavo alcune scene di certi film che mi piacevano di più e fantasticavo. Mi rivedevo al posto dei personaggi, e sognavo anch’io il principe azzurro, come si dice. Ripensavo anche alle cose che avevo fatto a casa mia e mi scendevano le lacrime lungo il viso, perché dentro di me pensavo: “Adesso si dimenticheranno di nuovo di me, ed io non potrò mai sapere quello che succede, quello che fanno”.

            Da questi pensieri mi distoglieva la voce della signora Anna che mi riportava alla realtà, a quella realtà che odiavo tanto. Odiavo vedermi trattata come una piccola cameriera, anche se trovavo i signori più trattabili; il mio posto rimaneva quello di una serva tuttofare, e questo mi dava ancora fastidio, soprattutto davanti alle persone.

            I giorni passavano, io attendevo con ansia il ritorno dalla villa a Catania, anzitutto per rivedere mia madre, poi ero curiosa di rivedere la casa in cui avevo trascorso tanti anni, e poi perché potevo ancora andare al cinema, che era l’unica cosa che mi portava un po’ di svago e di armonia. Finalmente venne quel giorno tanto atteso. Tornammo a Catania, e cosa strana, oggi non ricordo cosa provai nel rivedere quella casa: Forse restai indifferente.

            Qualcosa comunque cambiò, nel senso che dormivo nell’ammezzato che si trovava sopra la cucina, tra il piccolo corridoio e il bagno. Questo fatto mi fece sentire di più come una cameriera, ancora più misera, anche perché avevo tanta paura di dormire in quel ammezzato, distante dagli alti,  troppo isolata. L’ammezzato era costituito da due camerette col tetto basso, la scaletta di legno che andava a finire nella prima stanzetta con una piccola finestra che dava sul cortile. Alla fine della stessa scala, proprio di fronte, c’era una porticina che dava nell’altra stanzetta, anch’essa con una finestrina che dava nel cortile. Anche se la signora Anna l’aveva sistemata benino, con il lettino, il comodino, una cassettiera, un tavolino e una sedia, quando ci salivo di giorno non avevo nessuna paura, ma la sera, quando ognuno andavamo a letto, e la signora dalla cucina mi controllava perché tutto andasse bene, e che soprattutto non mi dimenticassi la luce accesa, allora si che avevo paura. Sentivo ogni piccolo rumore, e poi mi giungevano altri rumori che venivano dall’altra stanzetta, e che capivo benissimo che erano topi; allora, la paura aumentava ancora di più. Mi rannicchiavo sotto le coperte e, tremando, mi dicevo le preghiere, cercando di pensare altre cose, per esempio ai film che avevo visto, a quelli piacevoli e non a quelli di terrore e violenti.

            Pensavo anche casa mia, e seppi che Pierina lottava coi miei per il suo Leonardo, perché  avevano saputo delle cose spiacevoli, nel senso che gli piacevano le “donne”.

            Spesso prima di dormire piangevo sia per la paura, sia perché ero andata a finire di uovo nella “tana del lupo”; anche se all’inizio erano cambiati un po’ nei miei confronti. Questo non significava proprio niente per me, perché la signora, in fondo, era sempre quella di prima, e mi sentivo sempre più respinta dalla mia famiglia. Dalla signora continuai a fare la serva a tempo pieno e, all’occorrenza, ai suoi nipoti e a sua sorella Tina.

      Sentivo sempre più pesarmi sulle spalle la sensazione di essere al di sotto di tutti, e di fronte agli altri mi sentivo sempre inferiore. Più crescevo più provavo vergogna di me, e questo sentimento lo provavo anche con le persone che non conoscevo. Stavo sempre in sottomissione con  tutti. 

(Continua al numero successivo)

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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