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MAGGIO 2019

     

(Continua la storia di Maria Luisa)

 

Un giorno, sempre durante le vacanze di Natale, mi trovavo davanti al portone con mio fratello Domenico insieme con altri bambini, che, rivedendomi, come al solito, mi chiedevano tante cose che mi mettevano a disagio. Mi venne la felice idea, tanto per darmi un po’ di importanza, di fargli sapere del bambino che aspettava Maria. Dissi: “Sapete che mia sorella è incinta?” D’un tratto mi arriva un bel ceffone da mio fratello, io con le lacrime agli occhi gli chiesi: “Perché mi ha dato uno schiaffo, cosa ho fatto di male.?” “Non si dicono queste parole”. Io gli risposi che l’avevo sentito dire dalla mamma. Lui mi rispose con tono più affettuoso. “Si, però detto da voi bambini sta male”. A quei tempi i bambini dovevano rimanere all’oscuro di tante cose.

Intanto si avvicinava la fine delle vacanze e io non avevo nessuna voglia di ritornare dalla signora Anna e dicevo alla mamma se potevo rimanere a casa. Ma lei mi rispondeva: “Io lo vorrei tanto ma tu devi capire che lo faccio per il tuo bene e la signora Anna quando sarai grande ti farà la dote”. “Cosa vuol dire dote?” “La dote sarebbe la biancheria e anche la casa, perciò, cara figlia mia devi avere pazienza; vedrai che la signora cambierà”.

Io continuavo a non capire e non insistevo.

Finite le feste ognuno tornò nella sua prigione. Mio padre in ospedale, Gianni in collegio ed io dalla signora Anna.

Mi venne un nodo alla gola fui costretta ad interrompere il racconto. La dottoressa mi voleva tanto aiutare, dandomi tanti di quei consigli riguardo a come mi sarei dovuta comportare, raccomandandomi di non pensare più tanto agli altri, di badare soprattutto a me stessa, di non subire più passivamente, di non sentirmi sempre in colpa e di essere più padrona di me stessa e ancora di avere la forza di farmi valere dagli altri.

Dopo il colloquio, in reparto incontrai il dottore e gli chiesi di preciso il giorno che sarei uscita, perché dovevo comunicarlo a mio marito. Tutto sorridente il dottore mi rispose: “Dopo domani”, e io più sorridente di lui lo ringraziai e di corsa telefonai a mio marito per dargli la bella notizia.

Michele dalla gioia mi disse. “Lulù parto oggi stesso”.

Io al solo pensiero che mancasse poco per potere riabbracciare il mio Michele dormii pochissimo. Finalmente dalle fessure della persiana vidi la luce del giorno e mi alzai felice al pensiero che in quella stessa giornata avrei rivisto mio marito.

Feci in fretta quello che dovevo fare e andai al colloquio. Quando diedi la notizia alla psicologa lei ci rimase male, nel senso  che ancora con me non aveva finito, perché voleva aiutarmi ancora di più riguardo a quei brutti ricordi che tenevo dentro di me.

Voleva che io rimanessi ancora, dicendomi che avrebbe parlato col dottore di reparto per farmi rimanere almeno un’altra settimana. Io le risposi che non potevo restare ancora perché proprio in quello stesso giorno arrivava mio marito e non poteva restare così a lungo per il suo lavoro.

Vista la mia situazione, la dottoressa mi disse che nella sua relazione avrebbe messo di mettermi in contatto, una volta arrivata a casa, con un’altra sua collega perché riteneva necessario che io fossi ancora seguita.

Mi consigliò di comprarmi un libro da leggere, mi scrisse il titolo del libro: “Le vostre zone erronee”. Poi mi pregò ancora di seguire tutti i consigli datimi nei giorni precedenti. Ci salutammo cordialmente ed ebbi da lei il suo biglietto da visita nel caso ne avessi avuto bisogno.

Nell’ora di pranzo ricevetti la telefonata di Michele e seppi che si trovava già a casa di mia nipote Graziella e che nel pomeriggio ci saremmo visti.

Aspettai con ansia il suo arrivo nel parco dell’ospedale.

Vidi la macchina arrivare. Andai incontro a quella tanto amata figura alta, bella con i capelli già misti tra il grigio e il nero e quegli occhi neri che mi cercavano. Quando mi vide, il suo sorriso si illuminò di gioia e finalmente ci riabbracciammo. La prima parola che disse fu: “Andiamocene a casa nostra, qui l’aria non è per noi”. mi portò un bel “lilium” come lui di solito faceva.

Ci incamminammo lungo il parco. Raccontai a Michele quello che avevo fatto durante la mia permanenza in clinica. La stessa cosa fece lui raccontandomi un po’ di Tiziana e di Pier Paolo e di quanto era stato male senza di me.

Feci in fretta gli ultimi preparativi per la dimissione: Il dottore mi congedò dandomi la cartella clinica dove c’era anche la relazione della psicologa  e quella sua.

Michele ero già pronto, salutai tutti e andammo via.

Trovandoci al nord facemmo un giro turistico con Pierina e Graziella.

Tra la nostalgia e i ricordi cercai di trascorrere quelle giornate godendo di quelle bellezze che vedevo, sembrandomi un sogno di avere accanto a me Michele.

Io avrei voluto partire lo stesso giorno, tanta era la voglia di vedere e riabbracciare i miei figli, però Gianni e Graziella insistettero tanto perché rimanessimo ancora qualche giorno, soprattutto per far riposare Michele stanco dal viaggio. Alla fine decidemmo di rimanere un paio di giorni ancora e devo dire che non me ne pentii perché era tanto tempo che non ci prendevamo una vacanza. Sarebbe stato un vero peccato, una volta che ero con Michele, tornarcene subito.

La sera sentimmo per telefono Pier Paolo e Tiziana e dal tono della loro voce capii che desideravano il nostro ritorno al più presto, soprattutto Tiziana che mi chiese inquieta: “Mamma quando torni?” Bastò questa invocazione per angosciarmi e farmi venire un senso di colpa. Ragionavo tra me: “Perché devo essere così?  In fondo mi trovo qui per motivi di salute, quindi perché devo sciupare questi pochi giorni di relax? Dopotutto di quello che ho sofferto non ho colpa”

Mi vennero in mente anche le parole della brava psicologa: “Pensi anche a sé, non si faccia sensi di colpa, non stia lì a subire, subire”.

Così, malgrado tutto, mi tornò la voglia di godermi tranquilla minuto per minuto quella breve vacanza. In fondo anche Michele se lo meritava perché ogni volta che io sto male soffre insieme a me, forse più di me. e allora via le nuvole, tutto sia sereno.

Però come finiscono presto tutte le belle cose, finì anche la nostra breve vacanza. Partimmo.

Arrivammo alla stazione di Catania e tra la folla cercavo il viso di Pier Paolo che vidi quasi subito con gioia. ci incamminammo verso casa, la dolce e bella casetta mia. Al solito come mi era capitato altre volte, girai per tutta la casa, non ho mai capito il motivo perché i miei occhi la vedevano diversa. Osservavo tutto, ogni cosa da dentro a fuori, quasi quasi mi sentivo estranea, poi man mano riprendevo il ritmo quotidiano e il controllo di me stessa. Quando arrivò Tiziana dal lavoro, le andai incontro felice di poterla riabbracciare. La trovai un po’ sciupata in viso, mi spuntarono le lacrime perché capito che per colpa mia, per le mie lunghe degenze negli ospedali, l’avevo caricata di quasi tutte le responsabilità della casa.

Nei giorni seguenti misi al corrente della mia situazione il mio dottore, della nuova cura che dovevo fare e gli mostrai anche la relazione della psicologa di Verona, la quale mi aveva consigliato di riprendere quello che avevo interrotto con lei. Dopo qualche giorno ebbi il primo colloquio con l’assistente sociale presso il consultorio familiare, che si trovava proprio vicino casa mia. L’assistente sociale ritenne opportuno farmi avere il primo incontro con la psicologa.

Sia l’assistente sociale che la psicologa, come anche quella di Verona, mi fecero la stessa domanda: “Hai mai provato a scrivere la sua storia?” “Si, qualche volta ho cominciato, rispondevo, ma non sono mai riuscita ad andare avanti”. “Cerchi di riprovare, vedrà, che le farà tanto bene e alla fine ne uscirà una bella storia”.

(Continua al numero successivo)

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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