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MAGGIO 2005

     

Il 1° novembre del 1950, papa Pio XII proclamò il dogma dell'Assunzione. Le celebrazioni religiose legate alla proclamazione ebbero luogo, nell'arcidiocesi di Cracovia, l'8 dicembre, Solennità dell'Immacolata Concezione di Maria. Per l'occasione, “Tygodnyik Powszechny” dedicò la sua pagina di fondo alla poesia di Andrzej Jawieri (Pseudonimo di Karol Wojtyla (n.d.r.)) La Madre. La poesia può essere considerata una prova di quanto l'autore sentisse profondamente la maternità divina – e umana – della Madonna. Il mistero della nascita di Dio che è anche uomo è visto qui non tanto con la mente di un teologo, ma con gli occhi di un poeta: un modo molto personale ed anche unico. Il concetto stesso può sembrare audace. Delle tre parti della poesia, nella prima e nella terza è Maria che parla e si rivolge al figlio Gesù; nella seconda è l'apostolo Giovanni che si rivolge a lei.
Nella prima parte, la Madonna, dopo l'Ascensione e prima della sua Assunzione – ricorda l'infanzia di Gesù, in una serie di belle immagini poetiche. In versi di incomparabile bellezza nella poesia religiosa moderna, Maria riflette su come ella gradualmente abbia maturato la contemplazione del suo mistero: “Io resto tutta assorta nel tuo Segreto” (1,4 – Maturo raccoglimento).
Nella seconda parte della poesia, l'autore prende in considerazione il problema della maternità spirituale, prendendo ad esempio il rapporto di S. Giovanni apostolo con Maria. San Giovanni ricorda il primo momento della sua chiamata. (II,1 … La domanda di Giovanni)
Anche se suo figlio ora non c'è più, lo si può ritrovare nella Comunione e, sebbene sotto forma di pane, sarà per Maria il ricordo di una tenera testa, del suo abbraccio (II,2 – Lo spazio in te rimasto).
La Madre è davvero il gioioso inno di lode della Madonna per suo Figlio, cantata alla fine della sua vita terrena. La gioia, come l'autore avrebbe detto alcuni anni dopo in un'omelia, “è la gioia della sua maternità definitiva, la gioia della maternità per la quale ha pagato con la sofferenza e la croce di suo Figlio, è la gioia della maternità, che è la sua maternità per noi”. Questa poesia è anche un inno di lode a Maria, che l'autore canta con pieno dominio delle sue capacità artistiche; davvero uno dei momenti più alti della poesia mariana del nostro tempo.

(da “Introduzione” del testo: “Karol Wojtyla – tutte le opere letterarie” Ed Bompiani)

LA MADRE Karol Wojtyla

MATURO RACCOGLIMENTO

Nelle madri vi sono istanti in cui il mistero dell'uomo
scocca nelle pupille il primo lampo profondo
come il tocco del cuore dietro la tenue onda dello sguardo –
io ricordo quei lampi, passati senza eco,
dandomi appena il tempo di un semplice pensiero.
Figlio mio difficile e grande, Figlio mio semplice,
tu certo in me ti avvezzi ai pensieri degli uomini
e all'ombra di questi pensieri attendi l'istante profondo del cuore
che ha un inizio diverso in ogni uomo –
ed è in me di pienezza materna –
la pienezza che ignora sazietà.

Racchiuso in quest'istante tu non subisci mutamenti
e a tanta semplicità rechi ogni cosa ch'è in me
che, se le madri negli occhi dei figli riconoscono il lampo del cuore,
io resto tutta assorta nel tuo Segreto.

LA DOMANDA DI GIOVANNI

L'onda del cuore, quando si gonfia in silenzio seguendo lo sguardo,
tu non farla decrescere, Madre, non attenuare l'affetto
ma con le tue diafane palme sospingi quest'onda
verso di me.
Lui te l'ha chiesto.
Sono Giovanni, il pescatore. Ben poco v'è in me
che tu possa amare. Sento ancora: in riva al lago, sotto i piedi la ghiaia sottile –
e a un tratto - Lui.

Ormai tu in me non cogli il Suo mistero
pur se m'intreccio ai tuoi pensieri dolcemente come mirto.

Ma Lui ha voluto che ti chiamassi «Madre».
E io prego che così sia e la parola non perda valore per te.
È veramente arduo scandagliar le parole
il cui significato Egli ha infuso in noi due
perché in esse si celi tutto l'amore antico.

LO SPAZIO IN TE RIMASTO

Nello spazio di Tuo Figlio, del Tuo Primogenito, io torno spesso.
I pensieri prendono allora la Sua impronta
pur se gli occhi rimangono vuoti –
alle labbra ritornano le parole, le stesse
di cui Egli si rivestì quando volle dimorare tra noi.

Quando le stesse parole racchiuderanno il Suo spazio
più della vista,
più della memoria e del cuore - allora, o Madre, tu Lo riavrai -

Insieme a me inchinati – e prendi
Tuo Figlio ha il sapore del pane,
e ha sempre, oltre a questo, la sua essenza indicibile.

Ecco – più che nel mormorio delle mie labbra
E più che nei pensieri, nella vista, nella memoria –
Più che nel pane stesso, forse? –
Il suo spazio è serbato nell'incavo delle tue braccia, è là dove una tenera testa
si appoggiò alla tua spalla: questo spazio rimane in Te, forma impressa.

E mai vi brilla il vuoto. E in Te così grande presenza
Che quando già spezzavo il pane con le mie mani tremanti
Per porgerlo alla Madre –
Ho indugiato un attonito istante, perché questa verità
Mi rifulgeva nei tuoi occhi, in una lacrima.

SULLA TUA BIANCA TOMBA Karol Wojtyla

Sulla tua bianca tomba
sbocciano i fiori bianchi della vita.
oh quanti anni sono già spariti
senza di te – quanti anni?

Sulla tua bianca tomba
ormai chiusa da anni
qualcosa sembra sollevarsi:
inesplicabile come la morte.

Sulla tua bianca tomba,
Madre, amore mio spento,
dal mio amore filiale
una prece:
A lei dona l'eterno riposo.

Cracovia, primavera 1939

Passa la mandra Dada

Passa la mandra
e la bimba piange
sull'asfalto bianco di schiuma.
Tutto è rumore
contro il cielo amaranto.
Incrocia il mio sguardo
una regina
ferma
al bordo della strada
triste
con la sua campana
C'è odore di erba fresca nell'aria
Ma un urlo e una sferzata
ti rimettono in fila:
tu sei regina!
Ricordalo!
Ora i nostri occhi guardano altrove.
Tutto passa.
Passa la mandra…

Notte bambina (Capriccio) Dada

O notte, notte beffarda
che proietti alla finestra
del mio cuore
ombre inquietanti,
sciogli nell'aria bruna lacrime
e tristi pensieri.

E manda meraviglia e stupore
a quella finestra
e affacciati con me
e ridi,
ridi, o notte, notte bambina!

Dubbio Dada

Signore,
orna la mia vita
di attimi fuggenti
come fai con i poeti.
Voglio cantare
il tuo Amore
in un poema
senza fine.

Ma io,
o Dio dei poeti
e degli augusti saltimbanchi
io, saprò amarti?

Dio di grande pietà
io, saprò celebrare ad arte la tua misericordia?


 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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