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MAGGIO 2008

     

Canora lontananza Gabor Olàh

 

Mia madre canta. Sommesse si dischiudono

le porte dei ricordi e in fondo

a lunghi corridoi rivedo le fiorite

colline luminose: la mia infanzia.

 

Mia madre canta. Biondi dorati

mi biondeggiano i capelli sulle spalle.

Negli occhi – mentre ascolto – mi sorridono

piccole fate: fioriscono

rose sul mio volto.

 

Mia madre canta. Mi desto dalla vaga

ebbrezza dei bei sogni mattutini.

Chiudo fra le mie braccia, insieme ai sogni,

l’azzurro che dilaga.

 

Mia madre canta. Sulla mia bianca

fronte risplende un raggio della nostra

piccola lucerna. Essa ricuce

la giacca che ho strappato per giocare:

lei la grande mia serva, io il suo piccolo signore.

 

Mia madre canta. Ed ora, ecco, il suo canto

mi culla sul mio bianco

letto, lieve, sommesso. Sul petto

incrocio le braccia, il tempo

si fa senza peso, si fa senza traccia.

 

Mia madre canta. E l’anima rivola

in una lontananza di vent’anni.

Bello innocente regno dell’infanzia:

in te io mi rivedo sorridente

 

PROCESSIONANDO

                                                   Dada

Ti seguo

processionando

 

Santo che bruci

Ti seguo,

Santo che bruci

d'amore per me.

Ti seguo con la Croce

che indichi trionfante,

tua arma e tua debolezza.

E io cammino con te,

gli occhi alla tua Croce,

l'anima vibrante.

Ora la brezza

porta parole di preghiera

e le nuvole disegnano

le prime ombre della notte.

Tutto si mescola ai ritmi

della liturgia:

 

musica, suoni, litanie,

scorci chiari di mare

fra le vie strette,

dove le Confraternite a te care

conservano la memoria,

che le orazioni scandiscono

in parole d'amore.

Io ti sento

Santo Apostolo della Croce:

 

tu sei presente fra noi

 

nell'autunno avanzato

della tua città in festa

e il profumo del mare

ti accompagna nella sera.

La banda suona

e il popolo della speranza

commosso ti segue,

processionando.

 

A la Madonna der Divin’Amore

                                                     Carlo Sabatini

Castel de Leva: sopra ‘na collina’

c’è la Chiesetta der Divin’Amore,

che splenne come fusse ‘na Reggina

e, co’ la fede, arciconsola er core.

E drento ce sta Lei, la Madonnella

de Roma nostra, tutta pura e bella.

 

In fonno ce poi vede li Castelli

che in lontananza fanno da corona

a la Madre de tutti; e guardi quelli

ner mentre, lenta, la campana sona.

Quassù, fratello, drento ar Santuario

nun c’è nemico, nun c’è più avversario.

 

Nun mette conto arriccontà la STORIA

de la Chiesetta, piccola e devota:

‘gni mattone, qui, cià ‘na memoria

lassata spesso da ‘na mano ignota.

E’ ‘na riprova de’ la granne fede

der popolo cristiano, che ce crede.

 

E li prodiggi, poi, ‘n dove li metti?

la Madonnella, e lo sapemo tutti,

n’ha rigalati tanti e benedetti

che ancora se ne riccojeno li frutti.

Bella Madonna der Divino Amore,

che nun se stanca a falli a tutte l’ore.

 

In der quarantaquattro (1944), che paura

quanno che Roma se trovò inguaiata

fra li tedeschi drento le su’ mura

e mancò un pelo che nun fu spianata!...

Coresti a Sant’Ignazio a fa coraggio

e er Papa ce vienì in pellegrinaggio.

 

E come hai già sarvato ‘sta città

da le brutture del la guera boja,

o Madonnella nun ce stà a pensà:

ridacce ancora tanta pace e gioia

perché sur monno, schiavo der peccato,

torni a brillà la luce der creato.

.

 

 


 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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