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SPIGOLANDO QUA E LA'

GENNAIO 2005

     

Abbiamo lasciato Gesù Bambino mentre dorme il suo primo sonno vegliato amorevolmente da Maria e Giuseppe, riparati in una stalla realizzata su antiche rovine perché non avevano trovato posto negli alberghi né altra ospitalità. Nel brano che segue facciamo tesoro degli insegnamenti della Vergine Madre di Dio, nostra guida ed eccelsa maestra.

Dice Maria: "Ti avevo promesso che Egli sarebbe venuto a portarti la sua pace e così fu nei giorni di Natale, ora è il tuo tempo di pena. Ma tu lo sai ormai, è nella pena che si conquista la pace e ogni grazia per noi e per il prossimo. Gesù-Uomo tornò Gesù-Dio dopo la tremenda pena della Passione. Tornò pace. Pace nel Cielo da cui era venuto e dal quale ora effonde la sua pace a coloro che nel mondo lo amano.
Io, Maria, ho redento la donna con la mia Maternità divina. Il peccato di Eva era albero di quattro rami: superbia, avarizia, golosità, lussuria.E tutti e quattro andavano stroncati prima di sterilire l'albero alle radici.
Umiliandomi sino al profondo, ho vinto la superbia. Mi sono umiliata davanti a tutti. Sono stata umiliata con mormorazioni per il mio stato, come profuga, nella povertà, criticata come madre ritenuta debole col mio Gesù, umiliata nei tre anni del suo ministero, nell'ora crudele del Calvario, e fin nel dover riconoscere che non avevo di che comperare lenzuolo e aromi per la sepoltura del Figlio mio.
Ho vinto l'avarizia dei Progenitori rinunciando in anticipo di tempo alla mia Creatura.
Una madre non rinuncia mai che forzatamente alla sua creatura. La chiedano al suo cuore la patria, l'amore di una sposa, o Dio stesso, ella recalcitra alla separazione. E' naturale. Il figlio ci cresce in seno e non è mai reciso completamente il legame che tiene la sua persona congiunta alla nostra. Se anche è spezzato il canale del vitale ombelico, resta sempre un nervo che parte dal cuore della madre, un nervo spirituale e più vivo e sensibile di un nervo fisico, il quale si innesta nel cuore del figlio. E si sente stirare sino allo spasimo se l'amore di Dio o di una creatura, o le esigenze della patria, allontanano il figlio dalla madre. E si spezza lacerando il cuore se la morte strappa un figlio ad una madre.
Ed io ho rinunciato, dal momento che l'ho avuto, al Figlio mio. A Dio l'ho dato. A voi l'ho dato. Io, del Frutto del mio seno, me ne sono spogliata per riparare al furto di Eva del frutto di Dio.
Ho vinto la golosità, e del sapere e del godere, accettando di sapere unicamente ciò che Dio voleva sapessi, senza chiedere a me o a Lui più di quanto mi fosse detto. Ho creduto senza investigare. Ho vinto la golosità del godere, perché mi sono negata ogni sapore di senso. La mia carne l'ho messa sotto ai piedi. La carne, strumento di Satana, l'ho confinata con Satana sotto al mio calcagno per farmene scalino per avvicinarmi al Cielo. II Cielo! La mia mèta. Là dove era Dio. L'unica mia fame. Fame che non è gola ma necessità benedetta da Dio, il quale vuole che appetiamo di Lui.
Ho vinto la lussuria, la quale è la golosità portata all'ingordigia. Perché ogni vizio non frenato conduce ad un vizio più grande. E la golosità di Eva, già riprovevole, la condusse alla lussuria. ……..
Io ho capovolto i termini e, in luogo di scendere, sono sempre salita ed ho sempre attirato in alto, e del mio compagno, un onesto, ho fatto un angelo. Ma non bastava per far ottenere alla donna la pace perduta da Eva. Quella ve la ottenni ai piedi della Croce, nel veder morire Colui che tu hai visto nascere. Nel sentirmi strappare le viscere al grido della mia Creatura che moriva, sono rimasta vuota di ogni femminismo: non più carne ma angelo. Maria, la Vergine sposata allo Spirito, morì in quel momento. Rimase la Madre della Grazia, quella che vi ha dal suo tormento generata la Grazia e ve l'ha data. La femmina che avevo riconsacrata donna la notte del Natale, ai piedi della Croce acquistò i mezzi di divenire creatura dei Cieli.
Questo ho fatto io per voi, negandomi ogni soddisfazione anche santa. Di voi, ridotte da Eva femmine non superiori alle compagne degli animali, ho fatto, sol che lo vogliate, le sante di Dio. Sono ascesa per voi. Come feci con Giuseppe, vi ho portate più in alto. La roccia del Calvario è il mio monte degli Ulivi.
Da lì presi il balzo per portare ai Cieli l'anima risantificata della donna insieme alla mia carne, glorificata per aver portato il Verbo di Dio e annullato in me anche l'ultima traccia di Eva, l'ultima radice di quell'albero dai quattro venefici rami e dalla radice confitta nel senso, che aveva trascinato alla caduta l'umanità e che fino alla fine dei secoli e all'ultima donna vi morderà le viscere. Da là, dove ora splendo nel raggio dell'Amore, io vi chiamo e vi indico la Medicina per vincere voi stesse: la Grazia del mio Signore e il Sangue del Figlio mio…..

L'annuncio ai pastori, che diventano i primi adoratori del Verbo fatto Uomo.
Più tardi vedo una vasta estensione di campagna. La luna è allo zenit e veleggia placida in un cielo gremito di stelle. Sembrano tante borchie di diamante infisse in un enorme baldacchino di velluto celeste cupo. Gli alberi spogli sembrano più alti e neri sul suolo così imbiancato, mentre i muretti, che qua e là sorgono a confine, sembrano di latte, e una casina lontana pare un blocco di marmo.
Alla mia destra vedo un luogo cintato da una siepe di pruni su due lati e da un muro basso e scabro da altri due. Questo muro sorregge il tetto di una specie di tettoia larga e bassa, che nella parte interna del recinto è costruita parte in muratura e parte in legname. Da questo chiuso esce, di tanto in tanto, un belare intermittente e breve. Devono essere pecorelle che forse credono sia prossimo il giorno per il chiarore che dà la luna. Un chiarore persino eccessivo, tanto è intenso, e che cresce, quasi che il pianeta si avvicini alla terra o sfavilli per un misterioso incendio.
Un pastore si affaccia sulla porta e, portandosi un braccio sulla fronte per fare riparo agli occhi, guarda in alto. Pare impossibile che ci si debba riparare dal chiarore della luna. Ma questo è così vivo che abbacina, specie chi esce da un chiuso dove è tenebra. Tutto è calmo. Ma quella luce stupisce.
Il pastore chiama i compagni. Si affacciano sulla porta tutti, uomini irsuti di età diverse. Ve ne sono di appena adolescenti e di già canuti. Commentano il fatto strano e i più giovani hanno paura. Specie uno, un fanciullo sui dodici anni, che si mette a piangere attirandosi le baie dei più vecchi.
"Di che temi, stolto?" gli dice il più vecchio. "Non vedi che aria quieta? Non hai mai visto splendere la luna? Sei sempre stato sotto le vesti della mamma come un pulcino sotto la chioccia, vero? Ma ne vedrai delle cose! ... Io una notte vidi una luce tale che pensai che fosse per tornare Elia sul suo carro di fuoco. Il cielo era tutto un incendio. Un vecchio mi disse: "Grande avventura sta per venire nel mondo". E per noi fu sventura, perché vennero i soldati di Roma. Oh! ne vedrai, se campi!... ".
Ma il pastorello non lo ascolta più. Pare non abbia neppur più paura, perché lascia la soglia ed esce nello stazzo erboso che è davanti alla tettoia. Guarda in alto e cammina come un sonnambulo o come uno ipnotizzato da qualcosa che lo attira totalmente. Ad un certo punto grida: "Oh!" e resta come pietrificato, a braccia un poco aperte. Gli altri si guardano stupefatti. "Ma cosa ha quello stolto?" dice uno.
E il vecchio che ha parlato poco prima dice: "Andiamo a vedere prima di giudicare. Chiamate anche gli altri che dormono e prendete i bastoni. Che non sia una bestia cattiva o dei malandrini... "
Entrano, chiamando altri pastori, ed escono con torce e randelli. Raggiungono il fanciullo.
"Là, là" egli mormora sorridendo. "Al di sopra dell'albero, guardate quella luce che viene. Pare cammini sul raggio della luna. Ecco che si avvicina. Come è bella!" "Io vedo solo un più vivo chiarore" "Io pure". "Anche io" dicono gli altri. "Io vedo come un corpo" dice uno in cui riconosco il pastore che ha dato il latte a Maria. "E' un... è un angelo!" grida il bambino. "Eccolo che scende e si avvicina... Giù! In ginocchio davanti all'angelo di Dio!".
Un "oh!" lungo e venerabondo si alza dal gruppo dei pastori, che cadono con il volto verso il suolo, e tanto più paiono schiacciati dall'apparizione fulgente quanto più sono anziani. I giovanetti sono in ginocchio, ma guardano l'angelo, che sempre più si avvicina e si ferma sospeso, ventilando le grandi …
"Non temete. Non porto sventura. Io vi reco l'annuncio di una grande allegrezza per il popolo d'Israele e per tutto il popolo della terra. Oggi, nella città di Davide, è nato il Salvatore". L'angelo, nel dire questo, apre più grandi le ali e le muove come per soprassalto di gioia, e una pioggia di faville d'oro e di pietre preziose pare ne sfugga. Un vero arcobaleno che fa un arco di trionfo sul povero stabbio . "...il Salvatore che è Cristo". L'angelo sfavilla di aumentata luce. "...Cristo, il Signore!". L'angelo raccoglie le sue due fulgide ali e se ne veste come di una sopraveste di diamante sull'abito di perla, si curva come adorasse, con le braccia conserte sul cuore e il volto che scompare, curvato come è sul petto, fra l'ombra dei sommi dell'ali piegate.
Ma ecco che si muove. Riapre le ali, alza il volto in cui la luce si fonde al paradisiaco sorriso, e dice: "Lo riconoscerete da questi segni: in una povera stalla, dietro Betlemme, troverete un bambino nelle fasce in una mangiatoia di animali, ché per il Messia non vi fu un tetto nella città di David ". L'angelo si fa serio nel dire questo, mesto anzi.
Ma dai Cieli vengono tanti, tanti angeli simili a lui, una scala d'angeli che scende esultando e annullando la luna col loro splendore paradisiaco, e si riuniscono intorno all'angelo nunziante in un agitar di ali, in uno sprigionare di profumi, in un arpeggiare di note, in cui tutte le voci più belle del creato trovano un ricordo, ma portato alla perfezione di suono. Se la pittura è lo sforzo della materia per divenire luce, qui la melodia è lo sforzo della musica per fare balenare agli uomini la bellezza di Dio, e udire questa melodia è conoscere il Paradiso, dove tutto è armonia di amore, che da Dio si sprigiona per far lieti i beati e che da questi va a Dio per dirgli: "Ti amiamo!".
Il " Gloria " angelico si sparge in onde sempre più vaste per la campagna quieta, e la luce con esso. E gli uccelli uniscono un canto che è saluto a questa luce precoce, e le pecore i loro belati per questo anticipato sole. Il canto si attenua e la luce pure, mentre gli angeli risalgono ai Cieli... i pastori tornano in loro.
" Hai udito? Andiamo a vedere? ".- "E le bestie"
"Oh! non succederà loro nulla! Andiamo per ubbidire alla parola di Dio!... ".
"Ma dove andiamo?". "Ha detto che è nato oggi? e che non ha trovato alloggio in Betlemme?". E' il pastore che ha dato il latte, questo che parla ora. "Venite, io so. Ho visto la Donna e mi ha fatto pena. Ho insegnato un luogo per Lei, perché pensavo non trovassero alloggio, e all'uomo ho dato del latte per Lei. E' tanto giovane e bella, e deve esser buona come l'angelo che ci ha parlato. Venite, venite. Andiamo a prendere latte, formaggi, agnelli e pelli conciate. Devono esser poveri molto e... chissà che freddo ha Colui che non oso nominare! E pensare che io ho parlato alla Madre come ad una povera sposa!... ".
Vanno nella tettoia e ne escono poco dopo chi con delle fiaschette di latte, chi con delle reticelle di sparto intrecciato con dentro tondi formaggini, chi con delle ceste in cui vi è un agnellino belante, e chi con delle pelli di pecora conciate.
"Io porto una pecora. Ha figliato da un mese. Il latte lo ha buono. Potrà loro servire se la Donna non ha latte. Mi pareva una bambina, e così bianca!... Un viso di gelsomino sotto la luna" dice il pastore del latte. E li guida. Vanno alla luce della luna e delle torce dopo aver chiuso tettoia e recinto. Vanno per sentieri campestri, fra siepi spogliate dall'inverno. Girano dietro Betlemme. Raggiungono la stalla venendo non dalla parte da cui venne Maria, ma dall'opposta, di modo che non passano davanti alle stalle più belle, ma trovano questa per prima. Si accostano al pertugio.
"Entra!" - "Io non oso"."Entra tu".- "No".- "Guarda, almeno!".
"Tu, Levi, che hai visto l'angelo per primo, segno che sei buono più di noi, guarda". Veramente prima gli hanno dato del pazzo... ma ora fa loro comodo che egli osi ciò che loro non osano.
Il fanciullo tituba, ma poi si decide. Si accosta al pertugio, scosta un pochino il mantello, guarda... e resta estatico. "Che vedi? " lo interrogano ansiosi a bassa voce.
"Vedo una donna giovane e bella e un uomo curvi su una mangiatoia e sento..., sento piangere un piccolo bambino, e la donna gli parla con una voce... oh! che voce!". "Che dice?"
"Dice: "Gesù, piccolino! Gesù, amore della tua Mamma! Non piangere, piccolo figlio!". Dice: "Oh! potessi dirti: "Prendi il latte, piccolino!. Ma non ce l'ho ancora!". Dice: "Hai tanto freddo, amore mio! E ti punge il fieno. Che dolore per la tua Mamma sentirti piangere così e non poterti dare conforto!".
Dice: "Dormi, anima mia! ché mi si spacca il cuore a sentirti piangere e a vederti lacrimare!", e lo bacia e gli scalda certo i piedini con le sue mani, perché sta curva con le braccia giù nella mangiatoia".
"Chiama! Fàtti sentire!" - "Io no. Tu, che ci hai condotti e la conosci".
Il pastore apre la bocca e poi si limita a fare un mugolio. Giuseppe si volge e viene alla porta. "Chi siete?".
"Pastori. Vi portiamo cibo e lana. Veniamo ad adorare il Salvatore".- " Entrate ".
Entrano e la stalla si fa più chiara per il lume delle torce. I vecchi spingono i bambini davanti a loro.
Maria si volge e sorride. "Venite" dice. "Venite!" e li invita con la mano e col sorriso, e prende quello che ha visto l'angelo e lo attira a sé, fin contro la greppia. E il fanciullo guarda beato.
Gli altri, invitati anche da Giuseppe, avanzano coi loro doni e li mettono tutti, con brevi, commosse parole, ai piedi di Maria. E poi guardano il Bambinello, che piange piano, e sorridono commossi e beati.
E uno, più ardito, dice: "Prendi, o Madre. E' soffice e pulita. L'avevo preparata per il bambino che mi sta per nascere. Ma te la dono. Metti il Figlio tuo fra questa lana, sarà morbida e calda". E offre la pelle di una pecora, una bellissima pelle ricca di lana candida e lunga.
Maria solleva Gesù e ve lo avvolge. E lo mostra ai pastori, che in ginocchio sul fieno del suolo lo guardano estatici. Si fanno più arditi e uno propone: "Bisognerebbe dargli un sorso di latte, meglio acqua e miele. Ma non abbiamo miele. Si dà ai piccolini. Ho sette figli e so... ".
"Qui c'è il latte. Prendi, o Donna". "Ma è freddo. Caldo ci vuole. Dove è Elia? Egli ha la pecora". Elia deve essere quello del latte. Ma non c'è. Si è fermato fuori e guarda dalla fessura, e nel buio della notte si perde. "Chi vi ha guidati ?"
"Un angelo ci ha detto di venire, e Elia ci ha guidati qui. Ma dove è ora?".
La pecora lo denuncia con un belato. "Vieni avanti, ti si vuole". Entra con la sua pecora, vergognoso di esser il più notato. "Tu sei ?" dice Giuseppe che lo riconosce, e Maria gli sorride dicendo: "Sei buono".
Mungono la pecora e, con la punta di un lino intriso nel latte caldo e spumoso, Maria bagna le labbra del Bambinello, che succhia quel dolciore cremoso. Sorridono tutti e più ancora quando, con l'angolino di tela ancora fra le labbruzze, Gesù si addormenta nel caldo della lana.
"Ma qui non potete rimanere. Fa freddo e vi è umido. E poi... vi è troppo odore di bestie. Non fa bene... e... non sta bene per il Salvatore".
"Lo so" dice Maria con un grande sospiro. "Ma non c'è posto per noi a Betlemme".
"Fa' cuore, o Donna. Noi ti cercheremo una casa. Lo dirò alla padrona mia" dice quello del latte, Elia. "E' buona. Vi accoglierà, dovesse cedervi la sua stanza. Appena è giorno glielo dico. Ha la casa piena di gente. Ma vi darà un posto". "Per il mio Bambino, almeno. Io e Giuseppe stiamo anche per terra. Ma per il Piccino... ".- "Non sospirare, Donna. Ci penso io. E lo diremo a molti ciò che ci è stato detto. Non mancherete di nulla. Per ora prendete ciò che la nostra povertà vi può dare. Siamo pastori... ".
"Siamo poveri noi pure. E non vi possiamo compensare" dice Giuseppe.
"Oh! non vogliamo! Anche lo poteste, non vorremmo! Il Signore ce ne ha già compensato. La pace l'ha promessa a tutti. Gli angeli dicevano così: "Pace agli uomini di buona volontà". Ma a noi ce l'ha già data, perché l'angelo ha detto che questo Bambino è il Salvatore, che è Cristo, il Signore. Siamo poveri e ignoranti, ma sappiamo che i profeti dicono che il Salvatore sarà il Principe della Pace. E a noi ci ha detto di andare ad adorarlo. Perciò ci ha dato la sua pace. Gloria a Dio nei Cieli altissimi e gloria a questo suo Cristo, e benedetta sii tu, Donna, che lo hai generato! Santa sei, perché hai meritato di portarlo! Comandaci come Regina, ché saremo contenti di servirti. Che possiamo fare per te ?"
"Amare il Figlio mio ed avere sempre in cuore i pensieri di ora". "Ma per te? Non desideri nulla? Non hai parenti ai quali far sapere che Egli è nato?"- "Sì, li avrei. Ma non sono qui vicino. Sono a Ebron... ".
" Ci vado io " dice Elia. " Chi sono?" - "Zaccaria il sacerdote ed Elisabetta mia cugina". "Zaccaria? Oh! lo conosco bene. Nell'estate vado su quei monti, perché i pascoli vi sono ricchi e belli, e sono amico del suo pastore. Quando ti so sistemata vado da Zaccaria".- "Grazie, Elia". "Niente grazie. Grande onore per me, povero pastore, andare a parlare al sacerdote e dirgli: "E' nato il Salvatore" ".- "No. Gli dirai: "Ha detto Maria di Nazareth, tua cugina, che Gesù è nato, e di venire a Betlemme" ".- "Così dirò". "Dio te ne compensi. Mi ricorderò di te, di voi tutti... ". "Dirai al tuo Bambino di noi?". "Lo dirò". "Io sono Elia. E io Levi .Ed io. E io Giona. Ed io Isacco. Ed io Tobia. Ed io Gionata. Ed io Daniele. E Simeone io. E Giovanni mi chiamo io. Io Giuseppe e mio fratello Beniamino, siamo gemelli. "Ricorderò i vostri nomi" dice Maria.
"Dobbiamo andare... Ma torneremo... E ti porteremo altri ad adorare!... ".- "Come tornare all'ovile lasciando questo Bambino? Gloria a Dio che ce lo ha mostrato! Facci baciare la sua veste" dice Levi con un sorriso d'angelo. Maria alza piano Gesù e, seduta sul fieno, offre i piedini, avvolti nel lino, da baciare. E i pastori si chinano fino al suolo e baciano quei piedini minuscoli, velati di tela. Chi ha la barba se la forbisce prima e quasi tutti piangono e, quando devono andare, escono a ritroso, lasciando il cuore indietro...
La visione mi cessa così, con Maria seduta sulla paglia col Bambino in grembo e Giuseppe che, appoggiato alla greppia con un gomito, guarda e adora.

Gesù ci ammaestra
Dice Gesù: Oggi parlo Io. Sei molto stanca, ma abbi pazienza ancora un poco.
E' la vigilia del Corpus Domini. Potrei parlarti dell'Eucarestia e dei santi che si fecero apostoli del suo culto, così come ti ho parlato dei santi che furono apostoli del Sacro Cuore. Ma voglio parlarti di un'altra cosa e di una categoria di adoratori del Corpo mio che sono i precursori del culto per Esso. E sono i pastori. I primi adoratori del mio Corpo di Verbo divenuto Uomo.
Una volta ti dissi, é ciò è detto anche dalla mia Chiesa, che i Santi Innocenti sono i protomartiri del Cristo. Ora ti dico che i pastori sono i primi adoratori del Corpo di Dio. E in loro vi sono tutti i requisiti richiesti per essere adoratori del Corpo mio, anime eucaristiche.
Fede sicura: essi credono prontamente e ciecamente all'angelo.
Generosità: essi dànno tutta la loro ricchezza al loro Signore.
Umiltà: si accostano a dei più poveri, umanamente, di loro con modestia di atti che non avvilisce, e si professano servi loro.
Desiderio: quanto non possono dare da loro, si industriano a procurare con apostolato e fatica.
Prontezza di ubbidienza: Maria desidera sia avvertito Zaccaria, e Elia va subito. Non rimanda.
Amore, infine: essi non sanno staccarsi di là, e tu dici: " lasciano là il loro cuore ". Dici bene.
Ma non bisognerebbe fare così anche col mio Sacramento?
E un'altra cosa, tutta per te, questa: osserva a chi si svela per primo l'angelo e chi merita di sentire le effusioni di Maria. Levi: il fanciullo. A chi ha l'anima di fanciullo Dio si mostra e mostra i suoi misteri e permette che oda le parole divine e di Maria. E chi ha anima di fanciullo ha anche il santo ardimento di Levi e dice: "Fàmmi baciare la veste di Gesù". Lo dice a Maria. Perché è sempre Maria quella che vi dà Gesù. E' Lei la Portatrice dell'Eucarestia. E' Lei la Pisside viva.Chi va a Maria trova Me.
Chi mi chiede a Lei, da Lei mi riceve. Il sorriso di mia Madre, quando una creatura le dice: "Dàmmi il tuo Gesù, perché lo ami", fa trascolorare i Cieli in un più vivo splendore di letizia, tanto è felice.
Dille dunque: "Fàmmi baciare la veste di Gesù. Fàmmi baciare le sue piaghe". E osa di più ancora. Di' : "Fàmmi posare il capo sul Cuore del tuo Gesù, perché ne sia beata".
Vieni. E riposa. Come Gesù nella cuna, fra Gesù e Maria".

Giuseppe e Maria col Bambino hanno trovato ospitalità presso Anna, la padrona del pastore Elia, che ha dato loro una stanza della sua casa.
I Magi adorano Gesù
Dalla via maestra si avanza una cavalcata. Cavalli bardati ed altri condotti a mano, dromedari e cammelli cavalcati o portanti il loro carico. Il suono degli zoccoli fa un rumore d'acqua che frusci e schiaffeggi le pietre di un torrente. Giunti sulla piazza, tutti si fermano. La cavalcata, sotto il raggio della stella, è fantastica di splendore. I finimenti delle ricchissime cavalcature, gli abiti dei loro cavalcatori, i volti, i bagagli, tutto splende unendo e ravvivando il suo splendore di metallo, di cuoio, di seta, di gemma, di pelame, al brillio stellare. E gli occhi raggiano e ridono le bocche, perché un altro splendore si è acceso nei cuori, quello di una gioia soprannaturale.
Mentre i servi si avviano verso il caravanserraglio con gli animali, tre della carovana smontano dalle rispettive cavalcature, che un servo subito conduce altrove, e a piedi vanno verso la casa. E si prostrano, fronte a terra, a baciare la polvere. Sono tre potenti. Lo dicono le vesti ricchissime. Uno, di pelle molto scura, sceso da un cammello, si avvolge tutto in uno sciamma di candida seta splendente, stretto alla fronte ed al la vita da un cerchio prezioso, da cui pende un pugnale o una spada dall'elsa tempestata di gemme. Gli altri, scesi da due splendidi cavalli, sono vestiti l'uno di una stoffa rigata, bellissima, in cui predomina il color giallo, fatto quest'abito come un lungo domino ornato di cappuccio e di cordone, che paiono un sol lavoro di filigrana d'oro tanto sono trapunti di ricami in oro. Il terzo ha una camicia setosa, che sbuffa da larghe e lunghe brache strette al piede, e si avvolge in uno scialle finissimo, che pare un giardino fiorito tanto sono vivi i fiori che lo decorano tutto. In testa ha un turbante trattenuto da una catenella tutta a castoni di diamanti. Dopo avere venerato la casa dove è il Salvatore, si rialzano e vanno al caravanserraglio, dove i servi hanno bussato e fatto aprire.
E' giorno, ora. Un bel sole splende nel cielo pomeridiano Un servo dei tre traversa la piazza e sale la scaletta della piccola casa. Entra. Esce. Torna all'albergo. Escono i tre Savi, seguiti ognuno dal proprio servo. Traversano la piazza. I rari passanti si volgono a guardare i pomposi personaggi che passano molto lentamente, con solennità. Fra l'entrata del servo e quella dei tre è passato un buon quarto d'ora, che ha dato modo agli abitanti della casetta di prepararsi a ricevere gli ospiti.
Questi sono ancor più riccamente vestiti della sera avanti. I servi portano l'uno un cofano tutto intarsiato, le cui rinforzature metalliche sono in oro bulinato; il secondo un lavoratissimo calice, coperto da un ancor più lavorato coperchio tutto d'oro; il terzo una specie di anfora larga e bassa, pure in oro, e tappata da una chiusura fatta a piramide, che al vertice porta un brillante. Devono essere pesanti, perché i servi li portano con fatica, specie quello del cofano. I tre montano la scala ed entrano. Entrano in una stanza che va dalla strada al dietro della casa con una finestra aperta al sole. Delle porte si aprono nelle due altre pareti, e da queste sbirciano coloro che sono i proprietari: un uomo, una donna e tre o quattro fra giovinetti e bimbi.
Maria è seduta col Bambino in grembo ed ha vicino Giuseppe in piedi. Però si alza Ella pure e si inchina quando vede entrare i tre Magi. E' tutta vestita di bianco, così bella nella testina coronata di trecce bionde, nel viso che l'emozione fa più vivamente roseo, negli occhi che sorridono con dolcezza, nella bocca che s'apre al saluto: " Dio sia con voi", che i tre si arrestano un istante colpiti. Poi procedono e le si prostrano ai piedi. E la pregano di sedere.
Essi no, non siedono, per quanto Ella li preghi di farlo. Essi restano in ginocchio, rilassati sui calcagni. Dietro a loro, pure in ginocchio, sono i tre servi. Essi sono subito dopo il limitare. Hanno posato davanti a loro i tre oggetti che portavano, e attendono. I tre Savi contemplano il Bambino, che mi pare possa avere dai nove mesi ad un anno, tanto è vispo e robusto. Egli sta seduto in grembo alla Mamma e sorride. E' vestito tutto di bianco come la Mamma, i piedini minuscoli calzano dei sandaletti, la bellissima faccina su cui splendono gli occhi azzurro cupi è contornata di riccioli d'oro.
Il più vecchio dei Savi parla per tutti e spiega a Maria come, nella notte del passato dicembre, hanno visto accendersi una nuova stella nel cielo di insolito splendore. Nessuna carta parlava di quell'astro che non aveva nome. Nata allora dal seno di Dio per dire agli uomini una verità benedetta, un segreto di Dio.Ma gli uomini non avevano capito, essi l'avevano vista e si erano sforzati a capirne la voce.Le congiunzioni degli astri, lo studio in cui s'erano sprofondati, avevano rivelato loro il nome della stella "Messia". Il suo segreto:"Essere il Messia venuto al mondo". Ed erano partiti per adorarlo, ognuno all'insaputa dell'altro, viaggiando verso la Palestina perché la stella andava in tal senso.Sul cielo di Gerusalemme la stella si era celata alla vista, ed essi franti dal dolore, si erano rivolti al re Erode per chiedere in quale reggia era il nato Re dei giudei. Erode, interpellati i sacerdoti, rispose dove sarebbe potuto nascere: a Betlemme di Giuda.
Direttisi verso Betlemme la stella riapparve ai loro occhi e aumentò il suo splendore fermandosi su quella casa. Ed ora adoravano il Re offrendo i loro poveri doni, ma più ancora offrendo il loro cuore, grati a Dio di poter venerare il Suo Nato.
"Ecco l'oro, come si conviene a un Re possedere; ecco l'incenso come a Dio si conviene; ecco, o Madre, la mirra, poiché il tuo Nato è Uomo oltre che Dio, e della carne e della vita umana conoscerà l'amarezza e la legge inevitabile del morire.Il nostro amore vorrebbe non dirle queste parole. Ma se le nostre carte e più ancora le nostre anime non errano, Egli è il Salvatore, il Cristo di Dio, e perciò dovrà, per salvare la terra, levare su di Sé il male della terra, e il suo castigo: la morte. Questa resina è per quell'ora. Perché le sue carni sante non conoscano corruzione e si conservino fino alla resurrezione. Egli, per questi doni, si ricordi di noi e dando ai suoi servi il suo Regno". Chiedono di baciare i suoi piedini perché scenda su di loro la benedizione celeste. Maria, turbata da quelle parole, offre il Bambino sorridendo sgomenta.
Infine si dirigono all'uscita, accompagnati da Maria e Giuseppe
Giunti alla soglia - non si deve dimenticare che la stanza era lunga quanto la casa - i tre si accomiatano inginocchiandosi ancora una volta e baciando i piedini di Gesù. Maria, curva sul Piccino, gli prende la manina e la guida, facendole fare un gesto di benedizione sul capo di ogni singolo Mago. E' già un segno di croce tracciato dai ditini di Gesù, guidate da Maria.
Poi i tre scendono la scala. La carovana è già lì pronta che attende. Le borchie dei cavalli splendono al sole del tramonto. La gente si è affollata sulla piazzetta a vedere l'insolito spettacolo.
Gesù ride battendo le manine. La Mamma lo ha sollevato e appoggiato al largo parapetto che limita il pianerottolo e lo tiene con un braccio contro il suo petto perché non caschi. Giuseppe è sceso con i tre e regge ad ognuno la staffa mentre salgono sui cavalli e sul cammello.
Ora servi e padroni sono tutti a cavallo. L'ordine di marcia viene dato. I tre si curvano fin sul collo della cavalcatura in un ultimo saluto. Giuseppe si inchina, Maria pure e torna a guidare la manina di Gesù in un gesto di addio e di benedizione.
Dice Gesù:" Ed ora? Che dirvi ora, o anime che sentite morire la fede? Quei Savi d'oriente non avevano nulla che li assicurasse della verità. Nulla di soprannaturale. Solo il calcolo astronomico e la loro riflessione che una vita integra faceva perfetta. Eppure hanno avuto fede. Fede in tutto: fede nella scienza, fede nella coscienza, fede nella bontà divina.
Per la scienza hanno creduto al segno della stella nuova, che non poteva che esser " quella ", attesa da secoli dall'umanità: il Messia. Per la coscienza hanno avuto fede nella voce della stessa che, ricevendo " voci " celesti, diceva loro: " E' quella stella che segna l'avvento del Messia". Per la bontà hanno avuto fede che Dio non li avrebbe ingannati e, poiché la loro intenzione era retta, li avrebbe aiutati in ogni modo per giungere allo scopo. E sono riusciti. Essi soli, fra tanti studiosi dei segni, hanno compreso quel segno, perché essi soli avevano nell'anima l'ansia di conoscere le parole di Dio con un fine retto, che aveva a principale pensiero quello di dare subito a Dio lode ed onore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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