Ogni  domenica, ad un certo punto della messa, subito dopo l’omelia, recitiamo il  Credo. Rinnoviamo così la nostra fede trinitaria. Non so se qualcuno ci ha già  pensato, ma quella professione di fede arriva da molto lontano ed è costata  alla Chiesa non pochi anni di confronto serrato, di tensioni, di battaglie, non  soltanto verbali. Bisogna, infatti, risalire al secolo IV per incrociare gli  avvenimenti che hanno propiziato la stesura del testo e al secolo successivo  per conoscere quelli che hanno originato un altro patrimonio  teologico-dogmatico della Chiesa, quello concernente la figura umana di Gesù di  Nazareth. Andiamo però con ordine.
               
              Ario  scompiglia la trinità
                          Non è  poi così chiaro dai Vangeli e dall’insieme del Nuovo Testamento che Dio sia uno  solo e nello stesso tempo sia anche Padre, Figlio e Spirito Santo e che tutti e  tre possiedano la medesima dignità. Occorre scoprilo con una certa qual  pazienza, scavando a fondo nel pensiero degli autori biblici. Il paziente ma  non facile lavoro di scoperta era cominciato già fin dal secondo secolo, ma è  la svolta di Costantino, che concede libertà religiosa e diritto di  cittadinanza al cristianesimo, che permette alla questione di diventare davvero  importante. A dar fuoco alle polveri è Ario, un bravo prete della chiesa  alessandrina, tutto quanto impegnato a “difendere” i privilegi e la superiorità  dell’unico Dio, identificabile con il Padre. Il Figlio essendo stato generato,  ha avuto, per Ario, un’origine e si trova quindi un gradino al di sotto del  Padre stesso. Qualche testo biblico, ad esempio Gv 14,28, oggi usato a  sproposito e con somma ignoranza dai testimoni di Geova, sembra dargli un po’  di ragione. Gesù, infatti, vi afferma: “…  il Padre è più grande di me”. E c’è da aggiungere che se si sostiene che  anche il Figlio è Dio si rischia di cadere nel politeismo. Il vescovo di  Alessandria scomunica Ario, il quale, però, non demorde, anche perché trova con  grande facilità degli appoggi in quel grande laboratorio teologico che d’ora in  poi diventa l’oriente cristiano. D’altra parte egli pone un problema molto  serio, al quale, al momento, non si è ancora data risposta e per risolvere il  quale non è ancora stato trovato un linguaggio adatto. La questione si fa così  complessa che i teologi, e qualche vescovo, si scambiano pubbliche accuse. 
               
              Nicea 325:  si inventa il Concilio ecumenico
                          Proprio  per riportare pace e tranquillità in un impero agitato, Costantino convoca una  grande assemblea di vescovi a Nicea. Così, senza volerlo, egli dà il là ad una  delle più grandi istituzioni ecclesiastiche, il concilio ecumenico, cioè universale. Assemblee di vescovi convocate  per dirimere questioni importanti non erano una novità per la Chiesa. Ma, fino  a quel momento, erano rimaste assemblee locali. A Nicea si internazionalizzano,  anche se di fatto sono presenti quasi solo vescovi dell’oriente, dunque di  cultura greca. Nel corpo episcopale le differenze poi sono grandi e accanto a  vescovi che si presentano come veri e propri signori siedono vescovi di chiese  povere. Alcuni portano ancora i segni delle recenti persecuzioni.  In ogni caso questa assemblea composita si  trova concorde nel condannare Ario e nell’accettare quale testo dalla fede  ortodossa il Credo che Eusebio di Cesarea usa nella sua diocesi. Con una  piccola aggiunta però, introdotta su istanza del vescovo occidentale Osio di  Cordova, che al Concilio funge da consigliere dell’imperatore. La piccola  aggiunta sta nell’aggettivo homoousios riferito al Figlio. Un aggettivo che definisce il Figlio della stessa ousia, cioè della stessa “sostanza “ del Padre. Si tratta  dell’affermazione della perfetta uguaglianza fra i due. Tutto finito, tutto chiaro  e pacificamente accettato ovunque? Sembra di sì, ma di lì a poco i fatti  smentiscono l’ottimistica previsione.
               
              Costantinopoli  381: si replica
                          La  concordia di Nicea è, infatti, di poca durata. L’aggettivo homoousios è rifiutato da molti perché non è contenuto nella Scrittura  e viene usato malamente da qualche eretico che nega ogni distinzione fra Padre  e Figlio, come se fossero la stessa identica cosa, le due facciate di una  stessa medaglia. Anche l’imperatore, che appare sempre più come il vero arbitro  della contesa, tentenna e sembra appoggiare la causa degli antiniceni. La cosa  è già evidente con Costantino ma si accentua con i figli. Uno di essi,  Costanzo, opta chiaramente per l’arianesimo. Per fortuna fra i sostenitori del  Credo di Nicea ci sono figure eroiche, tutte d’un pezzo, come Atanasio, vescovo  di Alessandria d’Egitto, che subisce cinque esili ma non cede di una spanna.  L’effetto delle interminabili discussioni, sovente sopra le righe, è quello di  una Chiesa che piomba in un gigantesco caos. Così capita che una comunità importantissima  come quella di Antiochia arriva ad avere cinque vescovi contemporaneamente!  Frutto di correnti e sottocorrenti dei due fronti. Ma il lungo e acceso  dibattito aiuta a chiarire meglio i problemi e ad individuare un linguaggio più  adatto ad esprimere l’identità di Dio. Si arriva a distinguere fra ousia (sostanza) e hypostasis (persona), cioè a dire quello che in fondo affermiamo  ancora oggi: un solo Dio in tre persone, uguali ma distinte. Perché intanto ci  si è ricordati che il problema tocca anche la figura dello Spirito Santo.  Proprio l’affermazione relativa allo Spirito Santo sarà aggiunta nel 381 a Costantinopoli, in un  nuovo Concilio ecumenico convocato ancora dall’imperatore, che adesso è  Teodosio. Finalmente la questione trinitaria è sistemata e la Chiesa appare  rappacificata. Ma dietro l’angolo sta quella cristologica, in altre parole quella  della persona di Gesù. È uomo? È Dio? Può essere tutti e due nello stesso  tempo? 
               
              La questione seria dell’identità di Gesù
                          "Se  confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore  che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo". Potremmo dire, a  partire da questo densissimo testo dell'apostolo Paolo (Rm. 10,9), che tutta  quanta la storia della chiesa può essere letta come il tentativo dei cristiani  di tradurre nella loro concreta esistenza, nella mentalità e nella cultura del  proprio tempo, la professione di fede così sintetizzata dal grande apostolo.  Già la tradizione biblica, con le sue varie teologie, quella dei singoli  evangelisti, poi quella di Paolo stesso e degli altri scritti neotestamentari,  risponde a questa esigenza.
               
              Dire Gesù Cristo con parole nuove 
                          La storia dei primi cristiani può essere anche letta come  il lungo e faticoso tentativo messo in atto, con paziente tenacia, per  custodire gelosamente i tratti fondamentali e decisivi dell'autentico volto di  Gesù. In questo tentativo i diversi autori e le diverse sensibilità hanno  evidenziato tratti diversi. Così gli apologisti del secondo secolo e la scuola  di Alessandria hanno molto sottolineato il profilo di Gesù Cristo come Rivelatore  e Maestro, che illumina e forma gli uomini, mentre figure quali Origene e  Atanasio hanno colto soprattutto il dispensatore di Immortalità. Se poi  dall'oriente si passa all'occidente e alla tradizione latina ecco che dell'uomo  di Nazareth si accentua soprattutto il ruolo di Vittima e di Sacerdote.  Richiamo comprensibile, vista l'immediata vicinanza con i culti imperiali, nei  quali l'imperatore era sempre più concepito come il grande e sommo sacerdote.  Fin qui però tutto sta nella norma e l'accentuazione di una o dell'altra  sfumatura non pone particolari problemi alla custodia dell’autentica fede  cristiana. Che invece viene messa in questione durante il quarto e quinto  secolo.
               
              Umanità e divinità di Cristo: una convivenza non facile
                          La mentalità orientale, più portata a lasciarsi attrarre  dal divino, tende a sminuire l'umanità di Cristo. Certo qualche eccezione  esiste, come quella del vescovo Nestorio di Costantinopoli portato a  sottolineare la piena umanità di Gesù. Ben più perniciosa risulta essere la posizione  opposta, tutta tesa ad enfatizzare la natura divina. Una posizione che verrà  detta monofisismo e che registrerà un successo momentaneo in un concilio così  manipolato da esser definito "latrocinio di Efeso". Si è nel 449. Due  anni dopo, a Calcedonia, le cose saranno rimesse a posto. Si affermerà che in  Gesù le due nature, quella divina e quella umana, sono entrambe presenti, in  modo distinto ma non separato, unito ma non confuso. Una precisazione di  linguaggio che salva l'umanità di Gesù senza danneggiare la divinità. Anche se  per essere accettato, pure il dogma di Calcedonia, come quello di Nicea, dovrà  prima incontrare non poche difficoltà, fino al secolo IX inoltrato. Con enorme  fatica, da parte dei cristiani, nel mantenere l’equilibrio calcedonese, perché  la storia successiva mostrerà che di Cristo si è continuato ad accentuare la natura  divina, con poca attenzione a quella umana. Eppure, dicevano gli antichi, “non può essere salvato ciò che non è  pienamente assunto”. Dunque solo se pienamente uomo, con la fatica che  comporta l'essere tale, Gesù è il nostro salvatore. Quello in cui Paolo invita  a credere con la bocca e con il cuore. 
               
              Laugero Giampaolo