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DICEMBRE 2014

     

 

Dagli scritti di Maria Valtorta 24 - 12 - 43. Salmo 36° v. 21.

Dice Gesù:

            «Anche un versetto solo di un salmo ha una luce capace di illuminare gran via. Ecco la differenza fra il peccatore e il giusto. Il primo è un vampiro che prende e distrugge né mai restituisce. Distrugge le opere dei fratelli e i meriti miei. Si nutre della comunione dei santi. Ecco come se ne nutre. Non per il suo spirito al quale nessun cibo spirituale può giovare poiché è spirito morto. Se ne nutre per questa sua vita, poiché i santi pregano per lui e stornano dal suo capo i castighi di Dio. Tutti meno l‘ultimo, poiché Dio è giusto e dà a seconda che si è fatto. Rende sua condanna il Sangue che è salvezza perché con la sua vita di peccato irride il mio sacrificio. È un parassita del corpo mistico. E finisce a divenire un morto. Una cellula morta di questo corpo mirabile. Tu sai che nel vostro corpo le cellule morte sono la sede di atroci malattie. Così è di queste spirituali cellule che si nutrono dell‘altrui lavoro senza avere attività generante loro propria. Sono cancrene. Il giusto invece, attivo come un dio, continuamente produce, in forma minore, come un dio. È un generatore di vita. Innestato al Cristo, suo Maestro, vive la Vita e la fa sua, la moltiplica col suo proprio vivere, che per quanto sia umile non è sprezzato da Dio, il quale non sdegna le opere dei suoi piccoli ma le accoglie con un sorriso e le fa sue. Ricco di inesausta ricchezza - poiché non dispone unicamente della sua attività, ma di quell‘immisurabile tesoro che sono le opere del Cristo e dei santi - egli ha di tutti compassione e dà senza avarizia, né il suo dare lo impoverisce, perché più dona e più Dio in lui si trasfonde trascinando con Sé il fiume di santità di cui è sorgente e foce e le cui onde sono i meriti senza numero del Verbo immolato e dei suoi santi. Più la santità cresce e più la compassione aumenta, poiché se cresce la santità sempre più dimora Dio in voi e la dimora di Dio in voi vuol dire possedere la Carità.

            Oh! sorte beata! Quando al termine della vita il giusto ascenderà al Cielo, saranno a precederlo, tappezzando di luci la sua via e cantando le sue lodi, le opere da lui compiute, e al suo umile e beato stupore Io dirò: Ebbi fame a mi desti da mangiare, ebbi sete e mi desti da bere, fui nudo e mi rivestisti, infermo mi curasti, pellegrino mi accogliesti. Quanto facesti per i fratelli a Me l‘hai fatto e, specie quando col tuo dolore e col tuo operare hai fatto di un fratello un santo, hai aggiunto una luce alla mia corona di Re eterno. Perciò con Me ora regnerai in eterno, o mio benedetto!»

 

Lo stesso giorno.

Dice Gesù:

            «A coloro che leggendo umanamente questi dettati trovano che Io mi ripeto, rispondo: Alla vostra pertinacia nell‘errore contrappongo la mia pertinacia nell‘insegnare. I buoni maestri non si stancano di ripetere una spiegazione finché non sono sicuri che tutta la scolaresca ha compreso la spiegazione del maestro. In una scolaresca non tutti hanno la stessa volontà o la capacità di comprendere. Anzi, gli scolari che uniscono volontà e intelligenza sono le eccezioni. Sono le perle del maestro, quelle che lo compensano delle delusioni di tutti gli altri. Io sono il Maestro. E solo Io, che oltre che Maestro sono Dio ed ho di Dio l‘onniveggenza, so quanto pochi sono nel mio popolo coloro che ascoltano, comprendono, ritengono ed applicano la mia Parola. Quanto pochi quelli ai quali l‘amore è luce intellettiva e volontà. Perché sono questi, presi dall‘amore, che comprendono e vivono la mia dottrina e ai quali basta dare una volta una spiegazione perché la facciano norma di vita. Gli altri, inebetiti dalla colpa o resi tardi dalla pigrizia spirituale, occorre che Io li ammaestri senza stanchezze e sempre da capo perché un minimo di luce e di dottrina sia capace di insinuarsi in

loro e germinare una pianticina di Vita. Ecco la ragione del mio ripetere in mille maniere un‘unica scienza. E con questo risultato: chi meno ne abbisogna, poiché è già uno con Me, la accoglie con sempre nuova ansia, come fosse sempre parola nuova, e non si stanca di riceverla poiché essa è per lui cibo e aria di cui, come del cibo e dell‘aria naturali, ha sempre bisogno sinché la sosta cessa ed egli viene alla Vita dove la contemplazione di Dio sarà compendio di tutti i bisogni, sarà tutto. Invece coloro che più ne abbisognano più presto se ne stancano e staccano. Sia perché essa dottrina è per loro pungolo e rimprovero, sia perché la loro imperfezione spirituale li ottunde, rendendoli incapaci di sentire i loro bisogni e la bellezza della mia Parola. Ma Io faccio il mio dovere di Maestro ugualmente. Mi stringo sul Cuore i discepoli fedeli per i quali la mia carezza è già parola, e, consolandomi in loro, proseguo il duro compito di parlare agli ostili, agli inerti, ai deboli, ai distratti.»

 

25 - 12 - 1943 Natale. Nuovo dettato di Maria.

Dice Maria:

            «La beatitudine dell‘estasi natalizia è venuta meco come essenza di fiore chiusa nel vivo vaso del cuore per tutta la vita. Indescrivibile gioia. Umana e sovrumana. Perfetta. Quando il venir di ogni sera mi martellava nel cuore il doloroso momento: Un giorno meno di attesa, un giorno più di vicinanza al Calvario e l‘anima mia ne usciva ricoperta di pena come se un flutto di strazio l‘avesse ricoperta, anticipata onda della marea che m‘avrebbe inghiottita sul Golgota, io curvavo il mio spirito sul ricordo di quella beatitudine che era rimasto vivo nel cuore, così come uno si curva su una gola montana a riudire l‘eco di un canto d‘amore ed a vedere in lontananza la casa della sua gioia. È stata la mia forza nella vita. E lo è stata soprattutto nell‘ora della mia morte mistica ai piedi della Croce. Per non giungere a dire a Dio - che ci puniva, io e il mio dolce Figlio, per i peccati di tutto un mondo - che troppo atroce era il castigo e che la sua mano di Giustiziere era troppo severa, io, attraverso il velo del più amaro pianto che donna abbia versato, ho dovuto affissare quel ricordo luminoso, beatifico, santo, il quale si alzava in quell‘ora come visione di conforto dall‘interno del cuore per dirmi quanto Dio m‘avesse amata, si alzava per venirmi incontro non attendendo, poiché era gioia santa, che io lo cercassi, perché tutto quanto è santo è infuso da amore e l‘amore dà la sua vita anche alle cose che par che vita non hanno. Maria, occorre fare così quando Dio ci colpisce. Ricordare quando Dio ci ha dato la gioia, per poter dire anche fra lo strazio: Grazie, mio Dio. Tu sei buono con me. Non rifiutare il conforto del ricordo di un passato dono di Dio che sorge per confortarci nell‘ora in cui il dolore ci piega, come steli percossi da una bufera, verso la disperazione, per non disperare della bontà di Dio. Procurare che le nostre gioie siano gioie di Dio, ossia non darci delle gioie umane, da noi volute e facilmente contrarie, come tutto quanto è frutto del nostro operare avulso da Dio, alla sua divina Legge e Volontà, ma attendere solo da Dio la gioia. Serbare il ricordo di esse anche a gioia passata, perché il ricordo che sprona al bene ed a benedire Iddio è ricordo non condannabile ma anzi consigliato e benedetto. Infondere della luce di quell‘ora le tenebre dell‘ora presente per farle sempre tanto luminose che ci bastino a vedere il santo Volto di Dio anche nella più buia notte. Temperare l‘amaro del calice di quella goduta dolcezza per poterne sopportare il sapore e giungere a berlo sino all‘ultima stilla.

            Sentire, poiché lo si è conservato come il più prezioso ricordo, la sensazione della carezza di Dio mentre le spine ci stringono la fronte. Ecco le sette beatitudini contrapposte alle sette spade. Te le dono per mia lezione di Natale (metti questa data) e con te le dono a tutti i miei prediletti. La mia carezza per benedizione a tutti.»

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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