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DICEMBRE 2006

 

 

UNITI NELLA VERITA' E NELLA CARITA' Dada Prunotto

 

  Vivendo in una società pluralista, unificata dai mezzi di comunicazione e dalle migrazioni, vediamo che nella stessa coesistono, e si conoscono, diverse chiese e religioni.

  La convivenza impone innanzitutto rispetto verso le persone e le loro scelte, verso quindi anche le varie religioni e le pratiche religiose adottate.

  Il dialogo si propone dunque come una collaborazione per superare pregiudizi, tensioni e opposizioni, per promuovere l'armonia sociale. Nel rispetto delle idee altrui e delle varie fedi religiose, il cristiano è chiamato anche a testimoniare la propria fede, chiarendo, a chi lo deforma, il messaggio evangelico. Il confronto con gli altri ci aiuta anche ad approfondire la nostra identità, nelle tradizioni della nostra fede sulla base biblica; noi siamo testimoni della nostra fede e impegnati a viverla in modo maturo e consapevole, chiamati a testimoniarla anche attraverso il dialogo e con il coraggio dell'annuncio. Questo atteggiamento missionario, che impone carità e si esercita nel rispetto delle persone e nella libertà di tutti, crea dinamismo all'interno della società e ci aiuta nella ricerca della verità, cui tutti dobbiamo tendere.

  Ecco come risponde, alla domanda di un lettore su “Famiglia Cristiana”, Monsignor Rossano, di venerata memoria e precursore illuminato del dialogo interreligioso.

Domanda : “ Desidererei vedere spiegate, schematicamente e succintamente, le differenze sostanziali che ci sono fra le varie religioni, sette, deviazioni e la nostra fede cattolica. In particolare che cosa ci divide dagli ortodossi, dagli anglicani, dai testimoni di Geova? (Andrea R. Asiglkiano VC)

 

Risposta : La domanda tocca un ambito sconfinato che richiederebbe molto spazio per essere illustrato. Mi limiterò a qualche osservazione che possa servire a orientarsi e a districarsi nella complicata matassa.

  Anzitutto un cattolico deve distinguere chiaramente tra religioni non cristiane, e tali sono l'ebraismo, l'islam, l'induismo, il buddismo, il taoismo, il confucianesimo, il sikhismo e varie altre, non possiedono i contenuti e le affermazioni enunciate nel Credo che noi recitiamo nella messa e in tante occasioni della vita. Possono avere, ed hanno effettivamente, precetti morali e riti parzialmente simili a quelli che si trovano tra i cattolici e i cristiani, ma il loro contenuto spirituale è diverso.

  Ogni religione non cristiana ha le sue credenze, le sue pratiche, i suoi rituali. Oggi sono molti i libri che descrivono codeste religioni; riviste e giornali ne illustrano gli aspetti più o meno singolari e suggestivi. Attorno a ciascuna di esse gravitano delle sette, ossia gruppi e formazioni minori che si caratterizzano per qualche tratto particolare, talora anche appariscente e bizzarro: per dare qualche esempio, nell'area dell'induismo ha preso origine qualche decennio fa il gruppo Hare Krishna; nell'ambito del buddismo è sorto nel 1930 in Giappone il movimento dei Soka Gakkai; dall'islam si è staccata all'inizio di questo secolo la setta degli Ahmadiyya, e così via.

  Con le religioni non cristiane, particolarmente con quelle maggiori e più antiche (perché le cose sono molto più difficili con le sette recenti) i cristiani svolgono da qualche decennio un'attività che è stata chiamata “dialogo interreligioso”. Si tratta di un impegno non facile, perché richiede una conoscenza non superficiale delle religioni. Tale attività rientra nelle finalità generali della Chiesa, la quale tra i suoi compiti primari, secondo il concilio, ha quello di “promuovere l'unità e la carità tra gli uomini, anzi segnatamente tra i popoli”.

Imparare a comprendersi

   Questa affermazione è tratta dall'inizio della dichiarazione “Nostra aetate”, sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, che così prosegue: “Si considera qui anzitutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino”. Lo scopo del dialogo interreligioso, raccomandato dal concilio e dai papi, non è quindi l'unificazione delle religioni né tanto meno quello di proclamare la loro uguaglianza, come se tutte si equivalessero e portassero allo stesso fine. Si tratta invece, nel dialogo interreligioso, di imparare a comprendersi tra persone di credenza diversa, di eliminare i pregiudizi e le animosità accumulate nel passato (si pensi in particolare agli ebrei e ai musulmani) ma soprattutto di collaborare insieme per promuovere la giustizia, la pace, i diritti umani, l'armonia e il bene sociale.

  Ciò facendo il cristiano dà testimonianza concreta della propria fede e del suo modo di vivere. Nel dialogo egli ha anche la possibilità di scoprire i valori spirituali del suo interlocutore e trova un'occasione eccellente di presentargli in concreto che cosa significhi vivere e pensare da cristiano. Un incontro interreligioso che ha fatto storia è quello avvenuto ad Assisi il 27 novembre 1986, nel quale rappresentanti qualificati delle maggiori religioni del mondo hanno espresso, insieme al papa, il loro impegno per la pace, pregando, dialogando e digiunando insieme.

I rapporti con le Chiese cristiane

   Le cose sono diverse invece con le Chiese cristiane che non sono in piena comunione con la Chiesa di Roma. Con esse la Chiesa cattolica pratica il “dialogo ecumenico” per trovare le vie e i modi di realizzare l'unità della fede, quell'unità voluta da Gesù Cristo, che è stata incrinata nel corso della storia per colpe comuni dei cristiani.

  Tutte le Chiese cristiane hanno in comune il battesimo e la fede nei due grandi misteri che sono l'unità e la trinità di Dio e la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Perciò, secondo le direttive del concilio, il cattolico considera i seguaci di queste Chiese cristiane, qualunque ne sia la denominazione, come “fratelli nel Signore”. “Quelli infatti che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica”, si legge nel decreto sull'ecumenismo del concilio (n. 3). Il movimento e il dialogo ecumenico tendono a rendere piena questa “comunione nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio”.

  Tali sono gli obiettivi dell'ecumenismo indicati nel decreto sopra citato (n 2). Tra gli elementi di controversia vi sono, secondo le varie Chiese, la figura e l'autorità del papa, la natura del sacerdozio, la valutazione dell'eucaristia e di alcuni sacramenti, quali la confessione e l'ordine sacro, la venerazione della Madonna e dei santi e altro.

  Quindi in concreto, quando oggi un cristiano si trova di fronte a una religione, a una setta o a qualsiasi denominazione religiosa diversa dalla sua, deve domandarsi anzitutto se si tratta di un'aggregazione non cristiana, come è il caso per esempio dei biddhisti o degli Hare Krishna o dei testimoni di Geova, i quali non hanno il battesimo e non professano i due grandi misteri di fede; o se si tratta invece di una Chiesa o di una frazione non cattolica ma cristiana, come sono per esempio i metodisti, i valdesi e altre comunità ecclesiali.

  Sulla base di questa distinzione misurerà il suo comportamento, che in ogni caso sarà sempre improntato a rispetto e testimonianza della propria fede. Pietro Rossano

   “Gesù stesso nell'ora della sua passione ha pregato «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Questa unità, che il Signore ha dato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale a un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all'essere stesso di questa comunità. Dio vuole la Chiesa , perché egli vuole l'unità e nell'unità si esprime tutta là profondità della sua agape.

  Infatti, questa unità data dallo Spirito Santo non consiste semplicemente nel confluire insieme di persone che si sommano l'una all'altra. È un'unità costituita dai vincoli della professione di fede, dei sacramenti e della comunione gerarchica. I fedeli sono uno perché, nello Spirito, essi sono nella comunione del Figlio e, in lui, nella sua comunione col Padre: «La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (IGv 1,3). Dunque, per la Chiesa cattolica, la comunione dei cristiani non è altro che la manifestazione in loro della grazia, per mezzo della quale Dio li rende partecipi della sua propria comunione, che è la sua vita eterna. Le parole di Cristo «che tutti siano una cosa sola», sono dunque la preghiera rivolta al Padre perché il suo disegno si compia piena mente, così che risplenda «agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo» (Ef 3,9). Credere in Cristo significa volere l'unità; volere l'unità significa volere la Chiesa ; volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l'eternità. Ecco qual è il significato della preghiera di Cristo: «Ut unum sint» . (Ut unum sint 1,9)

 

 
 

 

 

 


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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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