ABORTO POST NASCITA: SCONCERTANTE POSIZIONE  DI DUE BIOETICISTI
               
              La  pseudo cultura abortista e della “libera scelta” continuano a dare i loro  “frutti”. Insieme a queste pseudo culture   dobbiamo aggiungere l’idea, ancor più diffusa, che viene espressa con la  frase: «Io non lo farei ma se tu ne sei convinta lo puoi fare». Le persone “pro  life” e il magistero della Chiesa da sempre affermano che la possibilità legale  di sopprimere un bimbo nel ventre materno è la questione centrale, perché  proprio da qui discendono a cascata tutti i temi etici oggi aspramente  dibattuti. E’ ovvio: se la vita di un essere umano dipende dal potere di  scelta, addirittura garantito per legge, perché non rendere possibili altri  “desideri”?
              Il  ragionamento sembra essere logico, ed infatti le persone favorevoli all’aborto  si meravigliano se trovano opposizioni alla pillola del “giorno dopo”, alla  pillola dei “cinque giorni dopo” (in farmacia da lunedì 2 aprile con un test di  gravidanza negativo, ma facilmente aggirabile), alla pillola dell’aborto  chimico RU 486, alla fabbricazione di embrioni umani e alla loro selezione,  all’uso di embrioni per la ricerca, alle staminali embrionali, all’aborto di  bimbi down o con handicap, al suicidio assistito, all’eutanasia… Quando fu  approvata la legge 194 sull’aborto non si credeva a questi possibili risultati,  ma chi si opponeva li intuiva, ed intuiva con dolore le inevitabili  conseguenze culturali, etiche e lo  spostamento della soglia di ciò che “non si può fare”.
              L’ultimo,  per ora (!), amaro frutto è il cosiddetto “aborto post nascita”. Il solo  concetto è un contro senso. Infatti come si potrebbe “abortire” un bimbo già  nato ! Ma lo sconcertante  ragionamento  è semplicemente il frutto contorto, e portato  “al limite”, dell’enorme potere attribuito alla libertà di scelta. Due  ricercatori italiani all'estero, Francesca  Minerva e Alberto Giubilini, hanno pubblicato sul Journal of Medical Ethics  la loro tesi. I due ricercatori argomentano che «l'essere "umano" non  è di per sé ragione sufficiente per attribuire a qualcuno il diritto alla vita»  e affermano che «sia il feto che il  neonato sono certamente esseri umani ma né l'uno né l'altro sono  "persone" nel senso di "soggetto" di un diritto morale alla  vita». Minerva e Giubilini ricordano la normativa olandese dove il  Protocollo Groningen del 2002 consente di porre fine alla vita di un neonato  con prognosi senza speranze attraverso una decisione assunta dai medici e dai  genitori e proseguono affermando che «gli interessi delle persone supera quello  delle persone “potenziali”. Dal momento  che le “non persone” non hanno diritto morale alla vita non c'é ragione per  proibire gli aborti post-natali». In pratica un neonato non sarebbe una  persona e dato che l'aborto è largamente accettato per ragioni che non hanno  nulla a che fare con la salute del feto, perché non permettere ad una donna o  una coppia che avrebbe abortito il feto a 3 o 5 mesi di sopprimere il neonato  ?   Non lo avrebbero voluto quando era  feto e quindi perché tenerlo in vita quando ha solamente qualche mese in più ?  Se non era persona al 9° mese di gravidanza perché ancora dipendeva dalla vita  della madre, non lo sarebbe neppure appena nato !
              Lo  stupefacente e disumano ragionamento ha già dei sostenitori, e questo non  stupisce perché si tratta proprio di un frutto malato di una pianta già malata  all’inizio.
              Basterebbe,  per rispondere a queste persone che promuovono e diffondono le loro tesi, la  risposta di un gruppo di adolescenti: « E questi sarebbero degli scienziati ?  ».
              La  difesa della vita concepita e nascente è un compito irrinunciabile e, possiamo  ben dirlo “laicamente”, ragionevole e necessario.
               
              Gabriele Soliani