Carissimi,  mi rammarico di non avere alcuna onorificenza, altrimenti farei lo stesso. Mi  vergogno di essere italiana. A presto. Patrizia
               
              Don Aldo restituisce l'onorificenza
               
                          Aldo  Trento è dal 1989 uno dei più noti missionari della Fraternità San Carlo  Borromeo in Paraguay. Ha sessantadue anni ed è responsabile di una clinica per  malati terminali di Asuncion. Il 2 giugno scorso il presidente della  Repubblica, Giorgio Napolitano, gli aveva conferito il titolo di Cavaliere dell'Ordine della Stella della  solidarietà. 
                          Ieri  Trento ha restituito l'onorificenza a Napolitano a causa della mancata firma  del decreto che avrebbe arrestato il protocollo medico per Eluana Englaro. 
                          "Come  posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore quando Lei, con il suo  intervento, permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica italiana?". "Ho più di un caso come Eluana  Englaro", racconta Aldo Trento al Foglio. 
                          "Penso  al piccolo Victor, un bambino in  coma, che stringe i pugni, l'unica cosa che facciamo è dargli da mangiare con  la sonda. Di fronte a queste situazioni come posso reagire al caso Eluana? 
                          Ieri  mi portano una ragazza nuda, una prostituta, in coma, scaricata davanti a un  ospedale, si chiama Patrizia, ha diciannove  anni, l'abbiamo lavata e pulita. E ieri ha iniziato a muovere gli occhi. 
                          Celeste ha undici anni, soffre di una  leucemia gravissima, non era mai stata curata, me l'hanno portata soltanto per  seppellirla. Oggi Celeste cammina. E sorride. 
                          Ho  portato al cimitero più di seicento di questi malati. Come si può accettare  una simile operazione come quella su Eluana? 
                          Cristina è una bambina abbandonata in  una discarica, è cieca, sorda, trema quando la bacio, vive con una sondina come  Eluana. Non reagisce, trema e basta, ma pian piano recupera le facoltà. Sono  padrino di decine di questi malati. Non mi interessa la loro pelle putrefatta.  Vedesse i miei medici con quale umiltà li curano". 
                          Don  Aldo Trento dice di provare un "dolore  immenso" per la storia di Eluana Englaro. "E' come se mi  dicessero: 'Ora ti prendiamo i tuoi  figli malati'. Il caso di Udine ha sconvolto tutti, medici e infermieri.  L'uomo non si può ridurre a questione chimica. 
                          Come  può il presidente della Repubblica offrirmi una stella alla solidarietà nel  mondo? Così ho preso la stella e l'ho portata all'ambasciata italiana del  Paraguay. Qui il razionalismo crolla lasciando spazio al nichilismo. Ci dicono  che una donna ancora in vita sarebbe praticamente già morta. Ma allora è  assurdo anche il cimitero e il culto dell'immortalità che anima la nostra  civiltà".                                                                                                 (Il  Foglio 9 febbraio '09)
               
              IL PARERE DEI COSTITUZIONALISTI
               
              «Decreto ineccepibile, non andava bloccato» 
                          Sull’urgenza  e la necessità di un decreto legge e ancor più sulla sua costituzionalità ci  sono tutta una serie di controlli ai quali il presidente della Repubblica non  può sostituirsi. C’è il Parlamento, che sul primo punto può esprimersi in sede  di conversione entro 60 giorni. C’è soprattutto la Corte costituzionale, se  viene investita della questione. Ed è proprio da alcuni ex presidenti della Consulta  e da esperti di questa branca del diritto che arrivano perplessità sull’operato  del Colle. Non tanto sul suo tentativo di persuasione affinché non fosse  utilizzato lo strumento della decretazione d’urgenza, quanto sul rifiuto di  adeguarsi alla decisione del Governo. 
                                  Secondo  l’articolo 77 è l’esecutivo ad avere l’esclusiva responsabilità, ricordano. E  a chi, come il costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti, invoca l’articolo  87 della Carta per dare al Capo dello Stato la possibilità di non firmare,  l’ex presidente della Consulta Antonio Baldassarre ricorda  che «quell’articolo va interpretato in armonia con altri, come appunto il 77.  Isolarlo dal resto non mi pare un metodo corretto ». Per Baldassarre «quello  che accade è grave, perché introduce un confitto che si risolverà con la  delegittimazione dell’uno o dell’altro potere. Una cosa di cui l’Italia non  sentiva proprio il bisogno e che poteva essere evitata con un po’ di  ragionevolezza». 
              Anche un altro ex presidente  della Consulta, Cesare Mirabelli, ritiene lo scontro «molto  forte». In più non ravvisa nel testo licenziato dal Consiglio dei ministri  problemi di costituzionalità. «Ha una funzione in qualche misura dilatoria, non  si contrappone alla decisione giudiziale e non la vanifica. È una sorta di  moratoria e garanzia. Tanto più in un settore come quello della volontaria  giurisdizione, nel quale ci sono provvedimenti e autorizzazioni che non passano  in giudicato». «Non v’è dubbio che il presidente abbia il potere di suggerire  e consigliare, indipendentemente dalle forme.
                          Ma,  con tutto il rispetto per la sua altissima figura, i presupposti per  l’emanazione del decreto ci sono», afferma l’ex vicepresidente della Corte Massimo  Vari. «Davanti a una formale deliberazione dell’esecutivo è normale  che il presidente proceda all’emanazione. Siamo, dunque, davanti a un  deliberato rifiuto e a un fatto gravissimo. Il presidente è chiaramente uscito  dalle sue funzioni.
                          Ha  mancato a un suo dovere costituzionale», è l’opinione di Marco Olivetti,  docente di Diritto costituzionale all’Università di Foggia. Sul fatto che il  Quirinale non potesse intervenire a bloccare il decreto è netto anche Baldassarre:  «Basta leggersi i classici della materia, a partire dal saggio sul decreto  legge di Esposito, un maestro», spiega. «Piena libertà di far conoscere le sue  perplessità. Soprattutto prima. E, quindi, di persuadere il governo. Ma questo  ha la fiducia della maggioranza e la legittimazione democratica, quindi deve  avere la parola definitiva. Non il presidente, che non è la Corte  costituzionale», prosegue Olivetti. Mirabelli, poi, giudica i rilievi del Colle  «non tali da escludere un provvedimento d’urgenza ». Anche perché, sostiene,  «una cosa è dettare una disciplina sostanziale, nella quale si regolano  diritti fondamentali, altro è un provvedimento che introduce un elemento di  cautela e garanzia».
                          Come  appare essere invece il decreto, il quale, ultimo rilievo, «pur nascendo  evidentemente dalla situazione che si è creata, è impostato come lettura di  carattere generale che riguarda tutte le persone in quelle condizioni e quelle  che devono compiere atti su di esse». Non, insomma, un intervento ad  personam. Sull’aspetto dell’urgenza su un caso singolo Vari, poi, non concorda  sul fatto che esso non basterebbe a motivare la necessità di un decreto. «A  parte il valore assoluto di una vita, c’è una giurisprudenza della Corte che  definisce la straordinarietà: eventi naturali, comportamenti umani, o anche  atti e provvedimenti di pubblici poteri. È nel contesto della vita sociale,  non nel dibattito parlamentare che va ricercata la situazione da tutelare nelle  more dell’emanazione di una legge». Infine, «quando ci sono in ballo lesioni  gravissime alla Costituzione si può giustificare una presa di posizione del  Quirinale. Però, sugli articoli citati – 3, 13 e 32 – ci sono due punti di  vista». E anche la vita è un valore costituzionalmente garantito. Anche su uno  dei precedenti di lettere inviate per rifiutare un decreto – resi noti ieri dal  Quirinale – Baldassarre ha da obiettare. Casi di divergenze «ci sono stati, ma  si sono risolti bonariamente. Non è il governo che si deve adeguare. Nel caso  dell’intervento di Pertini si realizzava un vulnus gravissimo della Costituzione,  perché senza di esso non si sarebbe tenuto un referendum che era pienamente  legittimo. Ma non è questo il caso». Napolitano invece, conclude Olivetti, i decreti  «finora li aveva sempre emanati. Tranne in un caso, all’epoca del governo  Prodi, che accolse i suoi rilievi in materia di Giustizia. C’è probabilmente  una ragione ideologica per questo rifiuto e ciò fa sì che il Capo dello Stato  venga meno alla sua funzione di garante della Costituzione per ritornare ad essere  uomo di parte». 
               
                          Antonio  Baldassarre Massimo Vari Cesare Mirabelli Marco Olivetti Gianni Santamaria