Bimbo lasciato morire perché nato due giorni prima della soglia legale
              Alessandro Di Matteo
               
              L’episodio è  accaduto in Gran Bretagna dove una giovane donna, Sarah Capewell, ha dato alla  luce un bimbo, Jayden, dopo 21 settimane e cinque giorni di gravidanza.
              Il personale  sanitario si è rifiutato di sottoporre il bimbo prematuro alle cure intensive  che forse gli avrebbero consentito di sopravvivere. La sua colpa era quella di  essere nato due giorni prima delle canoniche 22 settimane. Di fronte al  disperato appello di salvare il proprio figlio, quella giovane madre si è  sentita rispondere dai medici del James Paget Hospital di Gorleston, Norfolk,  che lei non aveva partorito un neonato ma, a termini di legge, aveva abortito  un feto vivente. Con il tatto impietoso di chi ha ormai perso qualunque senso  di umanità, i medici dell’ospedale hanno spiegato a Sarah Capewell, che quello  che lei si ostinava a chiamare il suo bambino, era in realtà, sotto il profilo  giuridico, semplicemente un feto, quindi un soggetto privo di alcun diritto. Il  piccolo Jayden avrebbe dovuto nascere 48 ore più tardi perché, secondo  regolamento, si potesse definirlo persona, e quindi riconoscergli il diritto a  essere salvato.
              Le  linee guida stabilite dalla British Association of Perinatal Medicine,  rigidamente seguite negli ospedali pubblici britannici, stabiliscono, infatti,  che deve considerarsi best interest dei bambini non nascere prima delle 22  settimane, e altrettanto best interest far morire i piccoli che abbiano avuto  la disavventura di venire al mondo qualche giorno prima della fatidica  scadenza.
              Così, l’agonia  del piccolo Jayden è durata due ore, sotto gli sguardi gelidi e indifferenti  del personale sanitario. Neppure la più piccola assistenza è stata prestata  durante quelle lunghissime ore, così come è stata recisamente respinta la  supplica della madre per poter celebrare il funerale del bimbo. La risposta  delle autorità sanitarie è stata sempre la stessa: «He hasn’t got a human  right, he is just a foetus». Lo sconforto assale Sarah, quando, più tardi,  viene a sapere che Amillia Taylor, una bambina americana nata  addirittura dopo sole 21 settimane e sei giorni, oggi vive perfettamente sana e  ha festeggiato il suo secondo compleanno.  
               La madre  ha dichiarato: "Quando sono cominciate le doglie mi dissero che sarebbe  nato morto, disabile e con la pelle che si squamava. In realtà era  perfetto"- 
              "Come  vedete dalla sua foto (v il sito Justice for Jayden, è nato vito,  reagive ed è vissuto senza assistenza per quasi due ore."
              La tristissima  vicenda di Sarah Capewell e del suo piccolo Jayden, richiamano alla mente il  concetto di banalità del male e la patetica figura di Adolf Eichmann, il burocrate  nazista che giustificò con l’obbligo morale dell’obbedienza alla legge, le più  efferate nefandezze. Al suo processo, nel 1961, Eichmann stupì il mondo quando,  di fronte ad una Corte basita ed esterrefatta, si mise a citare a memoria passi  della Critica della Ragion Pratica di Kant, per poi dichiarare che l’imperativo  categorico kantiano e l’osservanza della legge erano stati i principi base  della sua vita.             Soltanto  l’intelligenza e la lucidità di una donna come Hanna Arendt ha potuto  denunciare al mondo i rischi che sarebbero derivati da un simile -  apparentemente banale - approccio della realtà.           Ciò che è accaduto al James Paget Hospital è la prova di  quanto Hanna Arendt avesse ragione. La povera Sarah Capewell, che implorava lo  sguardo misericordioso del Nazareno («Donna non piangere!») si è trovata di  fronte l’algido distacco burocratico di un piccolo signor Eichmann e del suo  Imperativo Categorico.
              Basterà  davvero, a quella giovane madre, la kantiana osservanza della legge per  spiegare l’atroce, assurda agonia del suo piccolo e indifeso bambino?
                                                                               Ricerca  a cura di Patrizia Antinozzi