Come  farà la povera Lily May a chiamare "padre" Elizabeth? 
              
              Nel 1837, l’anno in cui salì al trono la regina Vittoria, furono  introdotte, in tutto il Regno Unito, ferree disposizioni sulla compilazione dei  certificati di nascita. Persino il tipo di inchiostro indelebile da utilizzare  fu oggetto di specifiche disposizioni. La certezza circa le proprie origini non  rivestiva un’importanza solamente giuridica ma anche sociale. Allo Stato  spettava il compito di certificare paternità e maternità dei sudditi  britannici. Questa centenaria tradizione si è interrotta il 18 aprile 2010  quando per la prima volta in Gran Bretagna un certificato di nascita ha  indicato due donne come genitori di una bambina.  
              Si tratta di Natalie Woods, madre biologica di Lily May, e della sua  partner omosessuale Elizabeth Knowles, che nella coppia rivestirebbe il ruolo  di “padre”, al posto dell’anonimo donatore di sperma che ha consentito la  fecondazione. Ovviamente l’evento è stato definito dagli attivisti gay una  «tappa fondamentale» nell’evoluzione del concetto di famiglia, non più legato  al mero aspetto biologico. Come tutto ciò sia potuto accadere è presto detto.  Lo scorso primo aprile è entrata in vigore in Gran Bretagna quella parte della  legge sulla fecondazione in vitro e l’embriologia del 2008 che consente il  rilascio di certificati di nascita relativi a figli di coppie omosessuali,  sostituendo i termini “padre” e “madre” con quello più neutro di “genitore”.  
              Ora, a prescindere da ogni considerazione di carattere morale, ciò che  appare sconcertante in questa vicenda, dal punto di vista giuridico, è che le  autorità britanniche si prestino a manipolare la realtà, attraverso una  certificazione pubblica. Un falso di Stato. Un certificato di nascita, infatti,  dovrebbe contenere dati autentici e corrispondenti alla verità circa l’origine  biologica, laddove conosciuta, di un determinato individuo e non situazioni  derivanti dai desideri o dalle fantasie di presunti genitori. Ciò dovrebbe  valere ancora di più in una società dominata da una diffusa cultura genetica  che, proprio attraverso la fecondazione in vitro, sembra ossessionata dal  desiderio di una discendenza che condivida legami di sangue e Dna.  
              Elisabeth Knowles non ha nessun rapporto biologico con la piccola Lily  May, e dichiararla genitore in un certificato di nascita integra semplicemente  un falso. Anche se un falso di Stato. In realtà, nel riconoscere i presunti  “diritti” delle due donne omosessuali, si sono violati i diritti di un terzo  soggetto più debole: la figlia. Oggi la legislazione internazionale e nazionale  di molti Paesi riconosce, infatti, il diritto all’identità di un individuo e  alla conoscenza dei propri antefatti biologici. Si può ricordare, in proposito,  l’art. 20 della Convenzione europea di Strasburgo sull’adozione dei minori, o  gli articoli 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo,  oppure l’art. 30 della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla  cooperazione in materia di adozione internazionale.  
              Proprio quest’ultima disposizione, in particolare, sancisce che le  autorità competenti degli Stati contraenti debbano «conservare con cura le  informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle  relative all'identità della madre e del padre ed i dati sui precedenti sanitari  del minore e della sua famiglia», e consentire l’accesso a tali informazioni. È  per questo che in Italia la legge 28 marzo 2001, n. 149, per esempio,  garantisce agli adottati «il diritto incondizionato a conoscere le proprie  origini biologiche». Lo Stato non può manipolare la realtà confondendo la  parentela biologica con la parentela sociale. E un cittadino che avanza il  diritto di chiedere informazioni sulle proprie origini biologiche, non può  leggere in un atto pubblico la favoletta secondo cui risulta essere nato da due  madri o da due padri. Oggi per generare un essere umano sono ancora necessari  due gameti: uno femminile ed uno maschile. Questa realtà, per ora, non riescono  a modificarla neppure gli ufficiali di Stato Civile di Sua Maestà britannica.
                                  Il  Sussidiario, Lunedì 27 settembre 2010
              (Ricerca a cura di Barbara)