Genitori aperti alla vita Dada  Prunotto
               
               
              
            
               
               
               
               
               
               
               
               
               
               
               
               
               
               
               
               
               
              Dopo la mia conversio-ne, avvenuta circa 16 anni fa’,  sono entrata in un universo tutto nuovo e molto affascinante. Non ero più  quella di prima, non ero ancora la donna nuova. Ma continuavo ad essere madre  di una donna di 26 anni.
                          Il cambiamento così radicale della  mia vita si andava intrecciando con il mio ruolo di madre, che inevitabil-mente  ha risentito di tutto ciò che in me e nella mia vita di relazione stava  trasformando-si. Non è stato semplice, perché nulla fu programmato. Comunque  quella trasformazione aveva bisogno di tempo, e intanto mi rendevo conto con  gioia e stupore che non sarebbe stato più come prima.
                          Ho sperimentato una sorta di  sdoppiamento, dove le abitudini passate convivevano con la voglia di lasciare  tutto, con l’esigenza di spogliarmi di tutto, per capire infine chi ero  veramente.
                          Di fronte a tale trasformazione i  primi a vederne gli effetti furono mio marito e mia figlia. Dunque da una parte  c’era l’esigenza di un equilibrio nuovo che ci coinvolgeva più o meno  consapevolmente, dall’altra c’era l’esigenza di concretezza di fronte ai  problemi quotidiani; e ce n’erano tanti, perché nostra figlia stava male e da  tempo stava sperimentando situazioni che la facevano soffrire. I cambiamenti  radicali contengono sempre qualcosa di doloroso.
                          Pensiamo alla Quaresima: prima di  diventare persone nuove, ci vuole il periodo di purificazione e di  digiuno.  Anche figlia e marito ebbero  bisogno di tempo per capire. Viveva in noi un senso di consolazione interiore,  insieme ad uno smarrimento nel non riconoscerci più quelli di prima. L’Incontro  Coniugale ci aiutò in questo passaggio.
                          Intanto nostra figlia continuava la  sua vita di sofferenza e di scelte difficili, compreso un matrimonio concluso  in quattro anni e tanto malessere. Sapevo che in quel frangente dovevo avere un  ruolo importante per Anna e quindi non cessai mai di ascoltare il racconto  delle sue esperienze e delle sue scelte. Non sempre condividevo e ne soffrivo,  né potevo intervenire con un parere o un consiglio, perché vedevo che voleva  sbagliare senza interferenze. Credo che, quanto ho detto, sia cosa vissuto da  tanti genitori, molte volte con senso di impotenza. Quando i nostri figli sono  piccoli ci pare semplice allevarli secondo certi principi, proteggerli dai  pericoli, curarli, nutrirli, dare loro ciò che è necessario per una buona  crescita fisica, psichica e spirituale. Ci pare quindi che i nostri ragazzi,  una volta fatti adulti possano volare da soli, forti dei nostri insegnamenti e  protetti dalle nostre raccomandazioni. Invece non è tutto così semplice; anzi  molto spesso accade proprio il contrario. Il giorno che possono liberamente  uscire di casa e disporre del loro tempo e delle loro scelte si sentono forti.  C’è il figlio che rimane legato alla famiglia, c’è quello che, al contrario, si  ribella, perché il mondo è molto diverso, apparentemente più comodo, non dà  regole, non giudica, coinvolge ed affascina. Attrae come il canto delle sirene;  poi basta accendere la TV per vederne le conseguenze. Può essere la famiglia  che non ha saputo dare il buon esempio, ma può essere anche il contrario. Ormai  le scelte difficili e tante volte pericolose dei nostri figli sono trasversali,  incontrano il favore dell’universitario come del ragazzo di borgata che vive di  espedienti. La droga intacca la società in tutti gli ambienti e tutti i giovani  sono esposti al pericolo di sbandamento. Noi genitori spesso siamo costretti a  guardare impotenti il degrado dei nostri figli, subendone conseguenze  devastanti per tutta la famiglia. Ma non esiste una scuola per diventare  genitori e in genere ci si sposa giovani, senza esperienza. Anche chi, come me,  ha un diploma di maestra, o chi all’università si è dedicato allo studio della  psicologia, può trovarsi spiazzato nel suo compito di educatore, perché la  teoria è molto lontana dalla realtà.
                          E’ bello conoscere la psicologia ma,  una volta conosciuta, conviene dimenticarla e incominciare a vivere. Così ho  imparato sulla mia pelle. Con questo non voglio dire che non serve studiare.  Studiare è sempre positivo, perché apre la mente e ci offre l’occasione di  conoscere da esperienze altrui, dandoci l’opportunità di confrontarci e di  mettere in relazione esperienze e opinioni.
                          La cultura ci rende tolleranti e  aperti alla vita. L’istruzione è la prima cosa che dobbiamo dare ai nostri  figli, perché oggi più che mai la conoscenza è forza e potere. Ognuno poi  studia come sa e come può. Non è detto che si debbano conseguire voti alti per  dirsi pronti a vivere al meglio.
                          Compito dei genitori è consentire,  anche talvolta a costo di sacrifici, ai nostri figli di studiare se lo  vogliono, dando loro una visione aperta della vita, insegnando un metodo  flessibile di interpretazione dell’esistenza. Non è facile. Ciascuno ha una sua  intelligenza, che unita alla sensibilità, dà un modo di percepire tutto  personale. Il famoso “quoziente intellettivo” (q.i.), che attraverso una serie  di test dovrebbe dare una valutazione dell’intelligenza umana, non è più  valido, oggi in senso assoluto: sono stati trovati sette tipi di intelligenza,  tutti validi.
                          Aggiungo che si sa che, nonostante  la scienza abbia fatto passi da gigante, in questi ultimi cento anni, non si è  conosciuta che una minima parte delle funzioni del cervello.
                          Ma l’apertura mentale si può  trasmettere, perché è scevra da meschinità, attraverso l’educazione in  famiglia. Partendo dalle piccole cose si può far capire che non è necessario  trovare il colpevole, ma che è bene discutere sull’errore commesso, è un bel  passo avanti sulla via del perdono. La rinuncia a qualcosa a cui teniamo, se  spiegata alla luce della consapevolezza, è utile ad aprire mente e cuore verso  chi ha meno di noi. Si può cominciare così, per arrivare ad amare meglio.
               
              
            L’amore vero, quello che dovrebbe  circolare liberamente in una famiglia unita, illumina fortemente  l’intelligenza. Amare i nostri figli non dovrebbe diventare attaccamento  morboso né ambizione. Amare con distacco è amare senza egoismo; e l’egoismo è il  contrario dell’apertura mentale.
                          Se si legge il Vangelo alla luce di  quanto detto, si capisce che esso è innanzitutto un libro di buon senso. Chi,  anche se non credente, vuole capirne il messaggio e vi si accosta con umiltà,  non può non concordare che la Buona Novella è un libro di apertura alla vita,  nel senso più pieno del termine. Nelle sue pagine affiora un messaggio di vera  intelligenza, quella rivolta al bene, senza egoismi né meschinità.