La nave prende il largo: Giovanni XXIII e l’annuncio del Concilio.
            
            
 
              Il 25 gennaio 1959, nella  basilica romana di San Paolo, mentre si conclude l’Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, Angelo Giuseppe  Roncalli, salito al soglio pontificio da appena tre mesi con il nome di  Giovanni XXIII, annuncia la convocazione di un nuovo Concilio Ecumenico.  Celebrato a meno di cento anni dalla sfortunata esperienza del Vaticano I, mai  concluso per i fatti di Porta Pia e la conseguente annessione di Roma al Regno  d’Italia, sarà il Concilio Ecumenico  Vaticano II, la cui data di annuncio e il luogo scelto per farlo non sono  puramente casuali. Non a caso nella mente di papa Roncalli era circolata pure  l’idea di celebrarlo nella basilica paolina e di chiamarlo Ostiense I. Mentre lo stupore coglie tutti i presenti, il collegio  cardinalizio reagisce gelidamente alla notizia, come annota con amarezza e  sottile ironia lo stesso pontefice. Quel pontefice che, scelto come figura di  transizione, ha il coraggio di una scelta che netterà a soqquadro tutta quanta  la Chiesa. Anche se, a meno di un secolo dalla definizione dell’infallibilità  del magistero papale, molti si chiedono: “Ma  da quale esigenza nasce l’idea di convocare una nuova assise conciliare? Non  poteva, il papa “infallibile”, far tutto e più velocemente da solo?”
               
              Giovanni XXIII: papa del mito e papa della storia
              Evidentemente non la pensa così  il nuovo eletto, Angelo Giuseppe Roncalli da Sotto il Monte in provincia di  Bergamo. Come sovente accade con i personaggi che segnano svolte decisive al  procedere della storia, anche su papa Roncalli si è più di una volta costruita  un’immagine deviante e falsata. Sia da parte di chi ha visto in lui l’uomo che  nel silenzio e nell’obbedienza aveva a lungo pensato e preparato la riforma  della Chiesa, attendendo il momento propizio per esternarla e che ha voluto  quasi unicamente sottolineare il volto del “papa buono”, il papa del saluto  alla luna e della carezza ai bambini. Sia da parte di chi lo ha voluto  presentare come il papa poco preparato teologicamente, un po’ ingenuo, comunque  conservatore, trascinato da altri e dal flusso degli eventi ben oltre la soglia  delle sue reali intenzioni. La più recente storiografia, compresa la poderosa  biografia data alle stampe dal pronipote Marco Roncalli, ha profondamente  rivisto la valutazione di quest’uomo, nato nel 1981, per un decennio segretario  del vescovo di Bergamo mons. Radini Tedeschi, cappellano militare durante il  primo grande conflitto mondiale, poi direttore dell’Opera per la propagazione della fede in Italia, elevato  all’episcopato e inviato come delegato apostolico in terre di confine, prima la  Bulgaria, poi la Turchia e la Grecia, dove incontra e l’Ortodossia e l’Islam,  successivamente nominato nunzio a Parigi nella laica Francia, infine scelto  come patriarca di Venezia. Roncalli, che in gioventù ha anche insegnato storia  della Chiesa, appare come un uomo colto, sapiente, avveduto, conscio dei  problemi che agitano il mondo e la Chiesa. In lui convivono aspetti di  conservazione (dopo la lettura di Esperienze  Pastorali definì “un pazzerello  scappato dal manicomio” don Milani) e aspetti di notevole apertura, come  mostra il giorno dell’apertura del Concilio, quando pronunciando un discorso  non soltanto formale così si esprime davanti alla folta assemblea di vescovi: “Al giorno d’oggi la Sposa di Cristo  preferisce far uso della misericordia piuttosto che della severità; essa  ritiene di venir incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina  piuttosto che la condanna”. La condanna era lo stile quasi abituale della  Chiesa degli ultimi due secoli, che si percepiva continuamente minacciata dai  nemici, esterni ed interni, questi ancora più subdoli e pericolosi dei primi.  Nel non troppo lontano 1832 un predecessore di Giovanni XXIII, Gregorio XVI, al  secolo Arturo Cappellari, aveva sostenuto che la Chiesa doveva “virga compescere”, cioè prendere il  bastone in mano, per combattere i suoi avversari. Per questo motivo Roncalli  non è solo il papa del Concilio, ma pure il papa delle aperture ecumeniche  verso l’oriente, verso il mondo riformato (significativa al riguardo alla  visita in Vaticano del primate della comunione anglicana Geoffrey Francis  Fisher il 2 dicembre 1960), verso gli ebrei, addirittura verso il nemico per  antonomasia di quegli anni, il mondo comunista. Apertura culminata con la  visita in Vaticano del genero di Kruscev, Adjubei, direttore di uno dei massimi  quotidiani sovietici. Ed è il papa che si sente anche profondamente vescovo di  Roma, fino a riprendere l’uso di un gesto trascurato dai suoi predecessori: la  presa di possesso della cattedra lateranense.
               
              Una precisa idea di Concilio
              Quando Giovanni XXIII decide di  convocare il Concilio ha in mente un’idea ben precisa dell’assemblea che  riunirà i vescovi dei cinque continenti. Già nell’annuncio del 25 gennaio egli  lo presenta quale “evento di grazia” e come occasione di fraternità fra tutti i cristiani. Non a caso quasi  contemporaneamente crea il Segretariato  per l’unità dei cristiani, sotto la presidenza del Rettore del Pontificio  Istituto Biblico, il cardinal Bea. In un radiomessaggio del settembre 1962  assegnerà all’evento conciliare una finalità eminentemente pastorale, finalità  tesa a rivedere la concezione della Chiesa tanto “nella sua struttura interiore” quanto nei rapporti con il mondo “di fronte alle esigenze e ai bisogni dei  popoli”. In filigrana già si intravedono quelli che saranno i due assi  portanti della produzione conciliare: la Lumem  Gentium, che tratterà della Chiesa in se stessa, e la Gaudium et spes che prenderà di petto la sempre spinosa questione  dei rapporti della Chiesa con il mondo.
               
              RICHIESTA DEL  PADRE
              
 
              Nel messaggio  dettato a Madre Eugenia il Padre chiede l'istitu-zione di una festa in Suo  onore:
               
              "Desidero che un giorno, o almeno una domenica,  sia consa-crato ad onorarmi in modo tutto particolare sotto il nome di Padre  dell'umanità intera. Vorrei per questa festa una Messa ed un ufficio propri.  Non è difficile trovare i testi nella Sacra Scrittura. Se preferite rendermi  questo culto speciale una domenica, io scelgo la prima domenica di agosto; se  prendete un giorno della settimana, preferisco che sia sempre il 7 di questo  mese". 
               
              Anni fa  iniziammo una sottoscrizione proprio per chiedere alla Chiesa l'istituzione di  una festa liturgica in onore di Dio Padre e raccogliemmo un rilevante numero di  firme (oltre centomila) che inviammo all'organo ecclesiale competente.
              Preghiamo ed  attendiamo.
               
              Far conoscere ed onorare il Padre di Mons.  A.Caillot:
              «L’oggetto della missione che sarebbe stato affidato a  Madre Eugenia è preciso e, dal punto di vista dottrinale, mi pare legittimo ed  opportuno. Oggetto preciso: far conoscere ed onorare il Padre, soprattutto con  l’istituzione di una festa speciale, chiesta alla Chiesa. L’inchiesta ha  stabilito che una festa liturgica in onore del Padre ben si collocherebbe nella  linea di tutto il culto cattolico, conforme al movimento tradizionale della  preghiera cattolica, che è un’ascensione verso il Padre, mediante il Figlio,  nello Spirito, come lo provano le orazioni della Messa e l’oblazione liturgica  al Padre nel Santo Sacrificio. (...) Una festa speciale avrebbe dunque come  primo effetto di ristabilire l’ordine nella pietà di molti cristiani e di  ricondurli alla consegna del divin Salvatore: “Tutto ciò che chiederete al  Padre, nel mio nome...”, e ancora: “Voi dunque, pregherete così: Padre  nostro...”» 
              (Mons. Alexandre Caillot, relazione conclusiva  all'inchiesta circa Madre Eugenia Ravasio)