SI È SALVATO SOLO IL CROCIFISSO
			                 
              "Se fossi  credente mi sentirei davanti a un miracolo. Da trent'anni però opero chi è  colpito dal cancro: i contorni della mia idea di fede si sono progressivamente  offuscati. Così non posso che definire incredibile quello ho visto".
               Il professor Lorenzo Spaggiari, 60 anni, emiliano, direttore della  chirurgia toracica dell'Istituto europeo dei tumori e docente all'università di  Milano, abitava con la famiglia l'ultimo piano della Torre dei Moro.
              "Il soffitto è  crollato e abbiamo perso tutto. Bruciata e sciolta dal calore anche la  cassaforte inserita nel muro. Soltanto una cosa non solo è salva, ma intatta:  un crocefisso. Lo conservavo in una bustina di plastica: come nuova anche  quella. Incredibile: mia moglie si è messa quella croce al collo e non vuole  toglierla più".
              Perché è tanto colpito  da questo episodio? 
              "Siamo  proprietari del diciottesimo piano. In duecento metri quadri non è recuperabile  uno spillo e ho visto la mia casa bruciare in diretta tivù. L'unico oggetto ad  essere riemerso dalle macerie, in perfetto stato dentro una cassaforte  liquefatta, è quella piccola croce d'oro. Inutile negarlo, la mia famiglia è  scossa".
              Non può essere un  caso? 
              "Se lo è, è un  caso che turba. Anche perché non si è verificato da solo".
              Cosa intende dire? 
              "Domenica mia  moglie voleva restare a casa. L'ho infine convinta ad andare qualche ora al  mare in Liguria con i bambini. Non avevo mai insistito prima. Se non fossimo  usciti, trovandoci al di sopra delle fiamme scoppiate più in basso, saremmo  stati in trappola. Spesso nel fine settimana stavamo a giocare e a riposare nel  soppalco al diciannovesimo piano. La coincidenza, grazie a cui siamo vivi, ci  ha turbato: ritrovare poi tra i detriti solo una croce, sparata fuori dal muro,  lascia increduli".
              Ora è prima mattina:  cosa ci fa lei ai piedi del grattacielo sotto sequestro? 
              "Passo prima di  andare in ospedale. Sono tornato a operare già lunedì e lavoro ogni giorno. Chi  ha un tumore non può aspettare. La mattina dopo il rogo ero atteso da  diciassette pazienti. Io avevo perso la casa, ma loro rischiavano di perdere la  vita".
              Come riesce, dopo il  disastro, a concentrarsi subito su un lavoro tanto delicato? 
              "È l'opposto:  operare mi aiuta a resistere. Da lunedì la mia empatia con i malati e con le  loro famiglie è più forte. Ora sono loro ad aiutare me. Vedo la dignità con cui  affrontano il dolore: mi vergognerei a dare la precedenza alla mia casa. Quando  si incontra la propria disperazione si comincia a capire meglio quella degli  altri".
              Quando aveva  acquistato l'appartamento? 
              "Prima che  esistesse, ancora sulla carta. Poi ho visto il grattacielo nascere. L'ho scelto  per stare vicino allo Ieo. Sono sempre reperibile: in dieci minuti potevo  essere in sala operatoria".
              E adesso? 
              "Un amico mi ha  prestato 60 metri quadri. Negli ultimi dieci anni siamo vissuti su un piano  intero, per la famiglia accontentarsi è un'esperienza preziosa. Un chirurgo può  guardare alla vita da una prospettiva complessa. Lei però non dimentichi ora  l'essenziale: quel crocifisso salvato all'ultimo piano.
              Tutti i residenti nel  grattacielo lo considerano un miracolo perché il rogo non ha causato vittime.  Lasci che io possa pensare quantomeno a un inspiegabile prodigio".